Il piccolo Hans - anno XIV - n. 53 - primavera 1987

ogni singolo testo nella sua specificità. Vorrei dire che ogni testo è interminabile a suo modo: giacché è dalla sua particolare energia libidica che promanano le modalità del suo dover continuare. Per rintracciare la peculiarità di tali segni, prendo un testo poetico concreto, addirittura proverbiale, esempio di una performance miracolosa per semplicità, compattezza e - aggiungo - chiusura apparente: «L'infinito». Va bene in dimostrazione anche perché, come si è detto, l'interminabile non è l'infinito. Questa poesia leopardiana sembra esibire l'esempio - opposto all'assunto - di un testo poetico che ha un termine, un testo che come si suol dire, «termina in bellezza». Inoltre ha un pregio supplementare: mi permette di dichiarare che il messaggio psicologico, psicologico-esistenziale che essa convoglia, non entra per niente in gioco. Intendo solo attirare l'attenzione su alcuni elementi testuali che servono da indizio in una certa direzione. Intanto la tramatura dei deittici: questo, quello, a partire dal memorabile: «quest'ermo colle», fino al «questo mare», in clausola altrettanto celebrata; tramatura che emerge particolarmente nel passaggio: «E come il vento I odo stormir tra queste piante, io quello I infinito silenzio a questa voce/ vo comparando...» dove l'affollarsi dei deittici sembra astrarre da ogni referente realistico. Proprio tale scorrimento circolare che, mentre assegna al discorso i suoi luoghi, li spazializza e finisce per immetterli in una specie di tourbillon, conferisce al testo un senso di non-terminato, come capacità di sfondare di là dalla chiusura sintattica, metrica, comunicativa e perfino simbolica. «L'infinito» è esperienza di infinità condotta in un vaso chiuso ossia in una situazione rigorosamente delimitata, ma accettata e anzi indispensabile. Però questa esperienza non è esauribile nella sua totalità e dunque 197

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