part shut and inscape cannot come». (J., 1872, 228) «Bluebells in Hodder Wood, all hanging their heads one way... a notable glare the eye may abstract and sever from the blue colur / of light... which like water is good to float their deeper instress in upon the mind». (J., 1873, 231) «(On a barn) I thought how sadly beauty of inscape was unknown and buried away from simple people and yet how near at hand it was if they had eyes to see it and it could be called out everywhere again». (J., 1874, 251) Nel fuoco della percezione e del discorso è dunque l'oggetto di natura nella sua realtà ontologica «data», nel suo apparire all'occhio sulla scena del mondo, tangibilmente, «yes and is». In questo quadro di ispirazione «realista», che, dopo Ruskin e Pater, troverà un ancoramento concettuale più preciso nei paradigmi dell'educazione gesuitica, il mondo si presenta come materia formata e composta, «upheld by instress», come una distribuzione differenziata di sostanze, pigmenti, linee di forza che si individua in strutture precise (patterns) di ossature, di spessori e di superficie. Alcune utili postille linguistiche8 dell'autore sottolineano la essenza energetica dell'instress e quella strutturale dell'inscape, con riferimento ai semi -Stress e -Scape presenti nei due etimi: -Stress «The making a thing more, or making it mar38 kedly what it already is: it is the bringing out its nature». Anche definito in termini di pitch, tane, energetic action; a parte l'ordinario riferimento alla lingua, lo stress si ascrive in Hopkins all'attività mentale cognitiva o creativa, e, originariamente, alla sfera del «gesto divino» di discretio, fondazione, designazione, «one of finer or higher pitch and determination... to force forward the starting or stubborn elements to the one pitch required».
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