Il piccolo Hans - anno XIII - n. 51/52 - lug./dic. 1986

si lascia attrarre dai loro eccessi; la pos1z10ne di Ulisse non è forse quella richiesta al Lettore-Modello (come si dice oggi) dei romanzi di Kafka? Né mimesi, né anticipazione, né ironia: ma un'astuzia attuata con «mezzi insufficienti, anzi infantili», che fa prevalere il senso e costringe il regime confuso a ritirarsi sullo sfondo. Ora, questo sfondo su cui le sirene continuano a esistere e a cui appartiene anche la roccia di Prometeo, non ha nulla di «inesplicabile», nel senso di Cacciari (1984, pp. 136-7). È lecito, per una volta, confessare la propria stanchezza di fronte all'eterno refrain della verità come aletheia, del fondo inesauribile che non bisogna presumere di aver esaurito, della parola come segno dell'inesplicabile e come unico antidoto al dogma comunicativo delle scienze del linguaggio, complici disattente della Metafisica? Non abbiamo appena scoperto che, per Kafka, il silenzio è un problema strategico? È un'arma, una finta, una possibilità, un inganno? In un'immagine straordinaria, Kafka indica le sirene nell'atto non più di sedurre, ma di «afferrare, finché era possibile, il riflesso lucente degli occhi immensi di Ulisse» (R, 429). Rapinosa e agonista è l'aletheia delle sirene. Iniziando da qui, si potrebbe leggere veramente Kafka. Giovanni Bottiroli 170

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