Il piccolo Hans - anno XI - n. 43/44 - lug./dic. 1984

- quasi nella forma di cerchi che si estendono concentricamente - si espande all'infinito. Molti anni fa la vita di mio figlio era seriamente minacciata e io non potevo far nulla per lui. La vita e la morte divennero reciprocamente vicine in modo pauroso, come dice il poeta ungherese Ady: «Vita e morte· sono quasi la stessa cosa, grandi le relazioni tra loro, grandi le differenze. Sulle mie guancie, proprio allo stesso tempo si pose il tuo bacio caldo e quello riluttante...» Camminavo su e giù per il corridoio della clinica: non avevo emozioni, pensieri, solo un'insopportabile sensazione interna che non riuscivo a localizzare. Avvertivo una tremenda mancanza di spazio. Mi sembrava di giacere su un pavimento di pietra sotto un impiantito di legno saldamente connesso: ero nello spazio tra l'uno e l'altro. Per molto tempo questo fu il solo pensiero. Ed ecco emergerne un altro: corro sempre più velocemente in una gabbietta, ma non vi è spazio per muoversi. Non so quanto durò tutto questo, giacché il mio senso del tempo non funzionava. Percepivo tutto quanto accadeva intorno a me ma ero interamente al di fuori di tutto ciò. All'estremità del corridoio una paziente lavava le scale: una vecchietta in vestaglia. «Ergoterapia». All'improvviso si avvicinò e disse: «Siete molto preoccupata, è vero?». «Sì, è così», dissi io. E lei: «Non c'è ragione di aver paura!», ed aveva un aspetto significativo, come se «conoscesse le cose». Era ovvio, dal suo aspetto, che era malata di mente. Si fermò accanto a me, e io, «da sotto l'impiantito», la guardai. Sentii che eravamo vicinissime l'una all'altra - entrambe, in qualche modo, sul filo del rasoio del vivere; e, per un istante, ci incontrammo. Una «per66

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