Il piccolo Hans - anno XI - n. 43/44 - lug./dic. 1984

privilegiano il luogo della parola. Non sorprende perciò che la psicoanalisi abbia, sin da Freud, fatto ricorso alla letteratura, né che la letteratura tragga in misura crescente consapevolezza di sé e dei suoi procedimenti dalle indagini e dalle scoperte che la clinica psicoanalitica e le conseguenti teorizzazioni «metapsicologiche» le possono fornire. Ciò che contraddistingue la produzione letteraria dal mero discorso comunicativo è lo statuto che in essa viene ad assumere la parola; anzi, particolarmente nella poesia, la lettera, l'unità fonetica minimale. È merito di Lacan aver sottolineato come - anche per questo aspetto - psicoanalisi e poesia si avvicinino: rimando perciò - per brevità - ai due saggi degli Ecrits «Funzione e campo della parola e del linguaggio» e «L'istanza della lettera nell'inconscio», per tornare subito al nostro Ferenczi, e, in primo luogo, al suo scritto sulle «Parole oscene». Dopo essersi chiesto se la resistenza a pronunziare, persino in analisi, le parole «oscene» dipendesse sostanzialmente dal complesso «nucleare», cioè dal complesso di Edipo e dalle sue elaborazioni, Ferenczi si dichiara non pienamente soddisfatto di questa spiegazione. Traendo spunto da Il motto di spirito e la sua relazione con l'inconscio (un'opera - sia detto tra parentesi - la cui importanza per l'«estetica» Ferenczi colse immediatamente) egli si rifà all'osservazione di Freud che «Pronunciando le parole oscene [si] costringe la personà aggredita a rappresentarsi la parte del corpo o l'apparato di cui è menzione», per ribadire che «una parola oscena possiede il potere singolare di costringere chi l'ascolta a immaginare concretamente l'oggetto, l'organo o l'atto sessuale ch'essa definisce». Si notino l'aggettivo «singolare» e l'avverbio modale «concretamente», quest'ultimo sottolineato nel testo. Li si noti 176

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