privilegiano il luogo della parola. Non sorprende perciò che la psicoanalisi abbia, sin da Freud, fatto ricorso alla letteratura, né che la letteratura tragga in misura crescente consapevolezza di sé e dei suoi procedimenti dalle indagini e dalle scoperte che la clinica psicoanalitica e le conseguenti teorizzazioni «metapsicologiche» le possono fornire. Ciò che contraddistingue la produzione letteraria dal mero discorso comunicativo è lo statuto che in essa viene ad assumere la parola; anzi, particolarmente nella poesia, la lettera, l'unità fonetica minimale. È merito di Lacan aver sottolineato come - anche per questo aspetto - psicoanalisi e poesia si avvicinino: rimando perciò - per brevità - ai due saggi degli Ecrits «Funzione e campo della parola e del linguaggio» e «L'istanza della lettera nell'inconscio», per tornare subito al nostro Ferenczi, e, in primo luogo, al suo scritto sulle «Parole oscene». Dopo essersi chiesto se la resistenza a pronunziare, persino in analisi, le parole «oscene» dipendesse sostanzialmente dal complesso «nucleare», cioè dal complesso di Edipo e dalle sue elaborazioni, Ferenczi si dichiara non pienamente soddisfatto di questa spiegazione. Traendo spunto da Il motto di spirito e la sua relazione con l'inconscio (un'opera - sia detto tra parentesi - la cui importanza per l'«estetica» Ferenczi colse immediatamente) egli si rifà all'osservazione di Freud che «Pronunciando le parole oscene [si] costringe la personà aggredita a rappresentarsi la parte del corpo o l'apparato di cui è menzione», per ribadire che «una parola oscena possiede il potere singolare di costringere chi l'ascolta a immaginare concretamente l'oggetto, l'organo o l'atto sessuale ch'essa definisce». Si notino l'aggettivo «singolare» e l'avverbio modale «concretamente», quest'ultimo sottolineato nel testo. Li si noti 176
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