Il piccolo Hans - anno IX - n. 36 - ottobre-dicembre 1982

Sulla poesia di Michelangelo « ... et ecce examen apum in ore leonis erat ac favus mellis» (Judices, 14,8) Tornando Croce, «con pacato senso», alle Rime di Mi– chelangelo, prende in prestito dall'antico biografo Condivi la parola «diletto». E così la declina: «Per diletto: cioè per rivestire del verso i suoi sentimenti, i suoi concetti, i suoi ghiribizzi, e talvolta a prova d'ingegnosità, di acu– tezza, di arguzia». La poesia non è per Michelangelo la «forma naturale del suo spirito». La sua poesia ha sì vigore, ma non armonia, è «forte prosa piuttosto che can– to» 1 • La lettura di Croce si apre dunque con questo di– chiarato esercizio: sospingere la parola «diletto» verso il «dilettantismo». Così sono preclusi gli interni estatici ed espressionisti, tempestosi e dolci, della parola diletto, ed è spezzato il vincolo che tiene stretto il soggetto dell'ar– tista alla lingua poetica, ed è oscurato l'itinerario che fa delle peripezie dell'io e delle peripezie del linguaggio una sola odissea. La riduzione crociana intende dissipare «quel culto pel sublime e abissale», «quel tremare dinanzi al mistero» che tanti lettori hanno ricreato dinanzi alle Rime. Una strategia del riequilibrio. Un progetto: ricondurre i versi di Michelangelo alle «occasioni che li mossero», dopo che sono stati «messi a campeggiare nell'infinito del cielo». Quel che può esser sembrato un timbro tragico non è 66

RkJQdWJsaXNoZXIy NjIwNTM=