Pègaso - anno V - n. 6 - giugno 1933

6 7 2 B. Cicognani Quando i caporali con me d i servizio m i vedevano imboc– care la v ò l t a dei G u i c c i a r d i n i presso Piazza P i t t i , m i guardavano i n uno strano modo. E questo strano modo s'accentuava v i a v ì a che c ' i n o l t r a v a m o per quei b u d e l l i ; u o m i n i scheletriti con le occhiaie fonde che sembravan vuote, femmine scaruffate, b a m b i n i m a c i l e n t i , case mangiate dal lupus o colanti marcia, a n d i t i spaventosi... Q u a n – do s'era all'uscio che n o n lasciava equivoci, m i d i v e r t i v o a cogliere l'espressione delle facce dei due ch'eran con me. C'eran alcuni a cui s'accendevano torbidamente g l i occhi e s'apprendeva u n ' a g i t a – zione che aveva dell'animalesco : alcuni diventavano rossi fino alla cima dei capelli ed esitavano a passar la soglia. I o salivo i l p r i m o . L a scala non permetteva d i salire che a uno alla v o l t a . S'avvertiva, anche senza toccare, l ' u n t o delle p a r e t i : nel buio, g l i scalini v i s c i d i ; sul p i a n e r o t t o l o mozzava i l fiato i l miscuglio dei p u z z i d i tanfo, d i muschio nauseabondo, d i sigaro perfido : u n vociar roco e eccitato : voci, a gargarismo, d i beceri, voci g u t t u r a l i d i femmine... — Buona sera. — Nella stanza si faceva per u n momento silenzio. I l t i n n i r della sciabola del caporale dell'arma a cavallo. L a vecchia cispellosa che i n u n angolo sorvegliava i n s o n n o l i t a dal r u m e con l o scaldino ancora a marzo, rispondeva, biasciando le parole, al saluto. Sui d i v a n i l u r i d i , alla luce rossa per la ventola rossa d i cartavelina frangiata i n t o r n o al lume a p e t r o l i o che affumicava i l soffitto basso a t r a v i c e l l i , coppie schiamazzanti o strette i n u n par– l o t t a r fitto : potenza d i dramma lacerato da risa oscene. I o m i se– devo i n u n angolo osservando con la spietatezza d ' u n distacco as– soluto. C o s ì , ne conobbi d i siffatti l u o g h i . E i n uno le visite si succe– dettero con maggior frequenza, quasi con una certa r e g o l a r i t à : e m i ci trattenevo p i ù a l u n g o : d i quelle cose che avvengono senza che ci se ne renda conto. M a i l m i o contegno anche lì era l o stesso. E i l locale n o n aveva niente d i speciale: sì, c'era u n d i v a n o i m b o t – t i t o , coperto d i c r e t ò n rosso con de' fioroni g i a l l i . D e l resto, l o stesso fetore, lo stesso sospetto d i cimici, la stessa luce- rossa, l o stesso filare del lume, l o stesso soffitto a t r a v i c e l l i , l o stesso p u b b l i c o d i clienti, la stessa specie d i disgraziate. M a dal m i o cantuccio d'osser– vazione, quando si spalancavano g l i usci delle camere vedevo, m i ri– cordo ancora, le cucce m i s e r a b i l i : e c'erano, a capo, le i m m a g i n i della M a d o n n a ; e i n una delle camere, sul comodino, costantemente acceso u n l u m i n o a Gesù. Quelle camere, povere p i ù d i qualunque camera povera; quei giacigli p i g i a t i da t u t t e le c a r n i ; ma quale

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