Pègaso - anno V - n. 6 - giugno 1933

6 4 2 • A. Zottoli cavalieri e quelle dame i q u a l i corrono l ' a v v e n t u r a che debbono correre e sentono l'amore che debbono sentire; ma vengono dopo. I personaggi, avendo oramai una costituzione organica, si presen– tano come coloro che v o g l i o n fare la trama degli avvenimenti, n o n p i ù come dei semplici pretesti per renderla possibile. So che la mia osservazione muove da una f o r m u l a z i o n e del p r i m o verso del « Furioso » che, comparendo solo nell'edizione del ' 3 2 , non è la p r i m i t i v a . Nell'edizione del ' 1 6 si leggeva: « D i d o n – ne e cavallier g l i a n t i q u i a m o r i » ; i n quella del ' 2 1 : « D i donne e cavallier l'arme e g l i a m o r i ». I l Pigna voleva credere che alla re– dazione definitiva i l poeta fosse stato i n d o t t o da r a g i o n i gramma– t i c a l i , senza accorgersi che, attribuendo ad A r i o s t o quelle r a g i o n i che p i ù i l e t t o r i del suo libercolo erano i n grado d i apprezzare, l o riduceva alla misura sua o, per l o meno, alla misura della sua ge– nerazione. M a fosse pure : la grammatica avrebbe posto A r i o s t o d i fronte a se stesso, facendogli vedere che i n u n modo aveva sentita la cosa, i n u n a l t r o , per adattarsi alla f o r m u l a d'uso, l'aveva espres– sa. Quelle dame e quei cavalieri che g l i si erano presentati, — m i si passi, parlando d i grammatica, la metafora grammaticale, — come i l soggetto, e non come i l complemento del suo poema, potevano nelle diciture delle prime edizioni stare al genitivo, solo p e r c h é l o spontaneo andamento del discorso era v i o l e n t a t o . Appena le cose rientrarono nel l o r o ordine naturale, essi presero la posizione g r a m – maticale che spettava alla l o r o i m p o r t a n z a effettiva. Come a t t o r i che oramai sono, e non p i ù semplice t r a m i t e delle avventure, per muoversi essi non attendono che venga i l poeta a spingerli nella l o r o corsa sfrenata; sanno che spetta a l o r o d i m u o – versi e d i agire, e che compito del poeta è solo d i c a n t a r l i . N o n c'è q u i n d i pericolo che A r i o s t o si prenda con essi quelle l i b e r t à che i n Boiardo sono n a t u r a l i : l i rispetta come si rispettano le persone che esistono. N o n c'è nemmeno pericolo che dei fantasmi i n v i a d i formazione vadano a invadergli l'immaginazione, o che egli va– da a sorprenderli col suo canto quando hanno una s t r u t t u r a an– cora sommaria e schematica, arrestandone l o s v i l u p p o p r i m a del tempo : essi acquistano la capacità d i essere cantati solo quando hanno raggiunto i l l o r o p u n t o d i perfezione, p e r c h é i l canto d i A r i o s t o n o n v u o l cooperare alla l o r o formazione, ma solo rispec– chiarne le forme già definite. F i n c h é le persone n o n si siano com– pletamente formate, A r i o s t o che n o n è impaziente, n o n ha paura d i aspettare. C o n l u i che sente d i n o n essere a r b i t r o della storia che imprende a narrare, n o n c'è bella baronia che tenga: anche se le

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