Pègaso - anno V - n. 3 - marzo 1933

2 5 8 P. Micheli Queste frasi parvero a tutti o di una toscanità leziosa come « o credereste? » o assolutamente buffe come « quanta spocchia » e « fa afa » . L a conclusione f u che i versi sarebbero stati da cestinare, ma che non si poteva fare a meno d i p u b – blicarli poiché erano stati mandati, con una lettera di presen– tazione, da G u i d o M a z z o n i . E i versi furono pubblicati, m a relegati nell'ultima pagina della rivista e composti col carat– tere p i ù piccolo. P o i , per parecchio tempo, noi seguitammo ad usare ridendo queste frasi a proposito e f u o r i di proposito. P o c h i mesi dopo i l Pascoli veniva a L i v o r n o come i n – segnante di latino e greco al L i c e o N i c c o l i n i . I o lo conobbi l'anno seguente e m i fu presentato, se n o n sbaglio, da G i o – v a n n i M a r r a d i . I pochi versi pubblicati d a l P a s c o l i i n questo tempo e la sua conversazione produssero i n me u n cambia– mento assoluto nel modo di giudicare la sua poesia. Come f u i subito uno dei suoi p i ù ferventi ammiratori nei crocchi a m i – chevoli, così f u i uno dei p r i m i ad esaltarne i l valore nei gior– n a l i di provincia dove potevo inserire qualche mio articolo. Q u a n d o furono pubblicate le prime Myricae, u n fascicolo d i poche pagine contenente alcune ballate, alcune saffiche, q u a l – che strambotto, ne scrissi una recensione sulla Gazzetta livor– nese. Prendevo le mosse da una strenna pubblicata poco p r i – ma, nella quale erano contenute circa una ventina di poesie di autori per la maggior parte livornesi e dicevo : « T r a quelli che scrissero versi nell'ultima Estate (così si chiamava la stren– na) tre soli erano poeti: G i o v a n n i M a r r a d i , G i o v a n n i P a s c o l i e non dico i l terzo per lasciare u n posto-libero a cui t u t t i gli a l t r i possono concorrere » . U n posto solo parve poco e io mi trovai nelle condizioni di quel popolano che, come rac– conta u n poeta vernacolo livornese, avendo fatto uno scherzo ardito ai suoi amici, destò tra loro un gran subbuglio per l a massima parte poco favorevole a l u i : C h i la prese a traverso e chi per bene, C h i s'arrabbiò, chi m i batté le mane C h i sostenuto e zitto avanti a mene Diceva fra d i sé: r a z z a d'un cane! F r a gli a l t r i i l T o c i , tra ridente ed annoiato, diceva che avevo fatto i l palio dei ciuchi. T u t t e queste cose risapute d a l Pascoli, lo misero i n allegria e l'articolo, i n cui gli parve che fossero stati segnalati bene alcuni caratteri della sua poesia,

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