Pègaso - anno V - n. 3 - marzo 1933

Ancora le colonne e gli archi 3 5 9 se se ne trovasse, i n un concorso tra buoni ingegneri, un tipo da fabbri– care economicamente i n serie e da rifabbricare con poca spesa quando questi bisogni meccanici dell'impostare, del telegrafare, del telefonare, ecc., m u – tassero, anche io m'accontenterei, perché il modo d'imbucare una lettera 0 di scrivere un dispaccio è lo stesso a Napoli come a Melburne. M a quando si tratta della Sapienza di R o m a , o Università che dir si voglia, del luogo cioè dove giovani italiani, e anche giovani stranieri, vengono a migliaia per anni a formarsi cervello e carattere, immagino, a l – l'italiana, e dove la cultura e la civiltà italiane sono ordinatamente i n – segnate nel nome addirittura di R o m a e nell'epoca di M u s s o l i n i , chi ha lodato a Brescia e a Messina e a M i l a n o e a Genova e a Bergamo le tue architetture recenti e vede invece proprio a R o m a e proprio da te esclusi 1 modi p i ù nettamente romani dell'architettura da te fino a ieri prodigati a Genova, a M i l a n o , a Messina, a Bergamo, a Brescia, ha per coerenza i l diritto di chiederti come io affettuosamente t'ho chiesto : « Quello che importa oggi in architettura è proprio d'essere nuovi e moderni, e non d'essere, prima di tutto, romani e italiani » ? T u non hai risposto alla domanda e ti sei rifugiato nella caligine delle idee generali : « D i italiano questi edifici universitari avranno lo spi– rito sereno, il ritmo misurato, l'armonia dell'insieme e delle parti, ed anche i materiali di paramento ». P i ù internazionali di così, si diventa nuvole. Serenità, ritmo, misura, armonia? M a sono le qualità di tutte le buone architetture, dal tempio di Carnac a Tebe fino al tempio del C i e l o a Pe– chino, dalla moschea d T b n T u l ù n al C a i r o fino a Nótre-Dame di P a r i g i . Farne il carattere dell'architettura italiana è come dire che i l buon citta– dino italiano si distingue dal fatto che ha un naso, una bocca, due orecchi e due occhi : pregevoli qualità, d'accordo, ma tra gli uomini d'ogni colore un poco frequenti. L a prova è che, squadra e spiana, pialla e taglia, dopo tanta sere– nità, ritmo e misura, sai a che assomiglia il tuo progetto per l'Università d i R o m a ? A l l e Officine di Karkoff in U c r a i n a inaugurate tre anni ad– dietro : le stesse file di rettangoli per ritto, le stesse fasce, gli stessi spigoli pieni, le stesse torri a scacchi. Guarda a pagina 7 4 del T a u t , guarda a pagina 5 1 1 del P l a t z ; e vedrai i l tuo sosia ucraino. È certo che lo ve– drai per la prima volta; ma chi fabbrica graticole deve,.scusa, aspettarsi di trovare dappertutto parecchie graticole che assomigliano alle sue. L'Università di R o m a , progettata da uno dei p i ù v i v i e gagliardi archi– tetti che oggi abbia l ' E u r o p a , assomiglierà insomma alla Casa d e l l ' I n d u – stria di Karkoff : un bel trionfo. E quello che è peggio : tu sarai orgo– glioso della somiglianza perché, a udir te, noi italiani non s'ha da « valere soltanto perché siamo i discendenti degli antichi ». Quel soltanto ce l'ag– giungi tu per comodità polemica, ché nessuno sarà mai tanto balordo da proclamare che l'architettura è solo un calco dall'antico. L o era la tua fino a ieri? Q u i si tratta d'una domanda più dura e p i ù seria: la domanda che, almeno nei nostri edifici monumentali ed esemplari, noi non si rinunci ai

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