Pègaso - anno IV - n. 10 - ottobre 1932

CJ. GALLO, Nievo 489 rassegnarci a crederlo. Giacché non riusciamo a immaginare con in– differenza che il Nievo possa aver vissuto gli ultimi anni della sua vita senza un grande amore, ancorché, com'era nel suo carattere, virilmente cercasse di dominarne e, quando gli fosse possibile, di travestirne il tormento. Nella parte critica, ossia nell'esposizione e nel giudizio dell'opera, il Gallo mi sembra più felice come assertore lucido di risultati rag– giunti che come analitico di uno sviluppo e di una formazione. Egli è certo un uomo molto colto, e un bello e dignitoso scrittore. I raffronti, che si vorrebbero magari più copiosi, con l'uno o l'altro autore della letteratura universale (e sono di solito i sommi) mostrano come egli abbia familiare il mondo dove si trovano misure acconce a certe par– ticolari bellezze toccate dal Nievo. Invece il mettere questi a raffronto, tra i suoi contemporanei e influenti su lui, soltanto col Manzoni e col Mazzini, mi par poco, e amerei che fosse meglio studiata la posizione del Nievo rispetto a tutto l'ambiente intellettuale della sua epoca, e massime agli intelletti seri ed ammonitori, al T'enca, al Cattaneo, al Pisacane, e agli scrittori stranieri che più erano letti in quel de– cennio fra il Quarantotto e il Cinquantanove. Come pensatore, come artista, si era sviluppato nelle letture, o soltanto nel raccoglimento? Che egli debba esser considerato come un pensatore artista, lo dice il -Gallo con piena giustizia. « Apparteneva degnamente alla famiglia dei pensatori-artisti, da Machiavelli ad Oriani ». Il Croce, com' è noto, propende a trovare nell'eticità il momento deci– sivo del Nievo. La superiorità morale dell'uomo gli sembra sovrastare, più completa, sulla sua virtù d'artista. Vorremmo dire che quella è asso– luta e luminosamente presente in tutta la sua opera, laddove questa è relativa, in gradazioni che vanno fino al capolavoro. Cosi s'avrebbero anche a sintetizzare, se io non oso troppo, i giudizi artistici che accompa– gnano l'amorosa disamina dell'opera fatta dal Gallo. Il quale talvolta è cauto; e nelle Luacjole, per esempio, scerne benissimo quelle che sono le belle· poesie nel non poderoso e disuguale bagaglio lirico del Nievo (passa invece, a mio modo di vedere, uri po' troppo alla sfuggita, sugli Arnori garibaldini, dove son pure tre o quattro delle più sentite cose che il poeta abbia fatto). Meno cauto lo direi nel giudicare delle due tragedie, Spartaco e I Gapuani. Non s'accorge di varcare con l'am– mirazione il grado di relatività che pure ha posto egli stesso con buon occhio di critico. Le due tragedie, ha detto, precorrono il Cossa, e ha soggiunto non meno giustamente che in talune scene più forti lo su– perano; ma il Cossa nell'arte non è il Monte Bianco. Le due tragedie hanno un valore relativo agli ideali artistici del tempo; non potrebbero misurarsi senza grave patimento col teatro, per esempio, di Hebbel, che sorgeva negli stessi anni in Germania ; e il prudente richiamo a un artista come il Cossa, di livello medio e di significato transitorio, do– vrebbe escludere le rievocazioni che s'incontrano poi ad ora ad ora di Shakespeare, di Goethe e addirittura dei tragici greci. Colpisce invece il Gallo criticamente nel segno quando annota e loda i tratti di sodezza nel personificare, di concretezza nel rendere stati psicologici, per i quali il Nievo si distingue dal declamato accademismo BibliotecaGino Bianco

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