Pègaso - anno IV - n. 9 - settembre 1932

320 G. Titta Rosa sabbia come un Budda borghese, espone il proprio adipe al sole, né la compunta ipocrisia della fanciulla che l'ammira in segreto e dinanzi a lei ostenta una superbia troppo rigida per esser naturale, o Pimpettito contegno della vecchia dama che le manda, come dal– l'alto di un soglio, fugaci occhiate dl'astronomica degnazione, - sono ,sentimenti che possono stupire Olimpia : ella sa che di tutto questo ha colpa la propria bellezza. E ne sentirebbe il peso, come d'un ,dono dannoso o troppo grave, se non swpesse che ,soltanto a tal prezzo le è concesso di sentire la vita degli altri, e capirla. La bel– lezza la fa umana, è lo specchio prodigioso ove per lei si riflette il mondo, l'anello fatato che le consente di penetrare nel segreto dei cuori. Ma Olimpia conosce troppo bene i celati pensieri degli uomini per provarne interesse, la sordia gelosia delle donne per temerla. Se quelli l'avvolgono come in una torbida vampa, ·questa, la gelosia, le pare come un'ombra che, rodendo quel fuoco, la ,segue ovunque. Da quando esiste la sua bellezza, ella cammina in questa vampa e in quest'ombra; e sono esse che, l'una credendo di goder del suo corpo l'altra di umiliarlo, la rendono immune, e dlànno luce alla .sua bellezza. Questa è la certezza di Olimp1a, che le ,splende nel viso e nel passo. Da un paese di scuri mendicanti è disceso sulla spiaggia un vec– chietto gobbo e segaligno, dagli occhi verdi. Sulla giub~a cenciosa dalle larghe tasche che gli giungono al ginoochio tiene appuntati medagl~ne e scapolari, e H mostra alla gente, alzando ,poi il dito al cielo da cui chiede direttamente benedlizioni e fortune a chi gli ha fatto l'elemosina. Talvolta cava dalla tasca dei listelli di cartone c9i n~meri de.l lotto e li offre, sfarfugliando parole incomprensibili e recitando sequ_enzesmozzicate in cui ricorrono chiari solo i nomi d'el Maligno e della Vergine. Poi ammicca furbesco negli occhi pic– éin1, e se ne va canticchiando a saltelli, appoggiato a un lungo bastòne, dando l'idea d'un'ilarità sinistra, goyesca. Passa sulla spiaggia una volta al giorno, e dinanzi a Olimpia non s'era mai fermato. Ora le si è piantato d'avanti, colle gambucce forcute, e la fissa sfrontato, le mani appese al bastone, la lunga giacca pendente a un lato e gli occhi aguzzi e maligni. Pare un ossuto •scimmiotto. Le spalle e le g:ambe d'Olimpia sono nude, e nuda è la docile curva che dall'ascella scende ai fianchi. La sua bellezza è placida e armo– niosa. Il gobbo la scruta- in silenzio lappeggiando con le labbra ri– secchite e facendo con tutto il viso annerito e disossato delle rapide smorfie. L'attenzione dei vicini è tutta sulla scena che pare una figurazione· allegorica. ,Con mossa improvvisa, il gobbo stacca una mano dal bastone e, tendendo il dito aguzzo, grida a Olimpia: BibliotecaGino Bianco

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