Pègaso - anno IV - n. 9 - settembre 1932

366 E. Giovannetti - L'arte del cinema alla Biennale di Venezia nere, l'America fa già cose adorabili, per tessitura lieve di dialogo; per fluidità d'azione, per eleganza di montaggio, per brio d'inquadrature. Una commediola americana, The Devil to pay del Fitzmaurice, con Ro– nald Colman nella parte protagonistica, era un piccolo amabile capo– lavoro . .Se 0s,c3,r Wilde rivivesse e volesse rifar qualcosa del genere di The importanee of being Earnest, si volgerebbe al cinema e farebbe qual– cosa di luminoso e di lieve come The Devil to pay. Altri esperimenti americani, quello per esempio d'una versiione ci– nematografica di Strange interlude, con dialogo non solo ma anche con monologo, appartengono, evidentemente, ad un disastroso empirismo. Meglio il realismo cordiale d'un King Vidor col suo 'l'he champ. E nep– pure la pellicola spettacolosa, Grand Hotel, prodezza d'un impresario cinematografico americano che ha scritturati per l'occasione cinque o sei artisti di cartello, ha fatto a Venezia la buona prova su cui si contava. Gli italiani avevano infine, con Gli uomini, che mascalzoni! di Mario Camerini, una pellicola piena di garbo, un po' troppo tenue forse ma fluente e piacevolissima. Educatosi alla scuola del Genina, il Camerini dovrebbe forse tentare, una buona volta, d'uscire dal suo guscio piccolo– borghese; in cui, alla lunga, potrebbe intristire. Un buon documentario è Assisi del Blasetti, da cui, a ragione, si sono banditi estetismi e languori. Il documentario è, questa volta, so– lido: ma vorrei consigliare gli industriali ad affidare opere di questo genere meglio ad operatori di talento che a direttori animosi. In Italia non s'è anc6ra capito che un operatore di talento è, per l'arte del ci– nema, non meno essenziale d'un regista, e che un operatore lasciato a se stesso può, in qualche caso, far cose stupende. In Russia gli operatori sono non meno popolari che i registi. C'è, insomma, nel regno dei do– cumentarii, anche un'iniziativa dell'operatore: e c'è tutto da guada– gnare, in certi casi, nel far nascere il documentario da un immediato e vivace « a tu per tu» della macphina con la natura, attraverso il talento d'un uomo che conosca bene l'una e l'altra. Or sono poche set– timane, a Mosca, un giovane cineasta russo diceva al nostro De FM : « Io ero un regista sempre inquieto ed ora che mi son fatto operatore, lavoro con una tranquillità e con una gioia che mi farebbero credere d'essermi alzato di rango ». Non voglio diminuire con questo i meriti del Blasetti: dico .soltanto che un colombo sarebbe stato più che sufficiente, e s'è mandato un cavallo alato. Lasciamo andare e volgiamoci fiduciosi anche al nostro domani. In conclusione, tra documentarietà·idealistica dei russi e naturalismo e tecnicismo dei tedeschi ed esperimentalismo degli americani ed eclet– tismo garbato degli italiani, la prima biennale del cinema ci ha mostrato cose vive sempre e, a volte, ,stupende (gli inglesi erano troppo poco rap– presentati e i francesi troppo male, se si eccettua l' A nous la liberté di René Olair). L'idea, di Antonio Maraini, della Biennale cinematografica è. stata indubbiamente felice, e tutto induce a credere che l'olimpiade biennale dell' immagine vivente finirà col fare di Venezia la capitale lu– minosa di Cinelandia. EUGENIO GrovANNEJT:rI. BibliotecaGino Bianco

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