Pègaso - anno IV - n. 1 - gennaio 1932

Ulrico di Wilamowitz-Moellendorff 11 altri uomini vede solo un mezzo per i propri intenti, li strania dai loro fini particolari, anzi non consente loro neppure la facoltà di ·proporsi problemi. E chi lavora troppo a lungo per un altro, si sente da un certo momento in poi degradato a istrumento, e non sa più considerarsi quale fine a se medesimo, come figli di famiglia che troppo a lungo hanno dovuto ubbidire ai genitori senza discutere né rifiatare, divengono per lo più incapaci per tutta la vita di re– golarsi da sé. Non so se sarebbe troppo audace il sostenere che ogni grande organizzazione, dalla Compagnia di Gesù al Corpus In– soriptionum) viola in certo modo lo spirito dell'etica moderna, ch'è ancora; sostanzialmente, la kantiana. Il maestro vero s'interessa per i problemi degli scolari come per i propri e lavora con loro in umile colleganza. Il Mommsen, poiché degli scolari in fondo non s'interessava, fil, mi dicono, anche a scuola maestro mediocre; spesso non trovav·a il tempo di prepararsi, e allora parlava proprio di ciò che aveva a mano, dell'epigrafe il cui calco gli era arrivato nel momento di uscire di casa e che si era affannato a decifrare durante il tragitto fra Oharlottenburg e l'università: lezioni quelle volte più fresche del solito, ma senza connessione con ciò che pre– cedeva e seguiva, e professate insomma anch'esse senza passione. E, perché egli non prendeva la scuola abbastanza sul serio, gli ob– blighi dell'insegnamento erano divenuti per lui un tormento, tanto che se ,ne liberò appena poté, per viver tutto per le sue ricerche. Non vorrei che qualcuno, leggendomi, inducesse da queste pa– role che io ritenga il Mommsen un monomane sublime. Egli fu uomo intero : politico militante e appassionato, subì da giovane la destituzione, in anni molto posteriori si tirò addosso inimicizie r . avversità per le sue lotte contro il Bismarck. Fu frequentatore di salotti assiduo e ricercato, non indifferente alle grazie di signore belle e spiritose; non meno frequentava le bettole romane. Nella brigata italo-tedesca con cui a Roma soleva passare le serate, egli voleva essere il sor Teodoro, e nulla più. Non era né un monomane né un pedante chi diceva di soler frapporre una mu– raglia tra il lavoro della giornata e il riposo notturno: la mu– raglia era la società e il vino. E chi lo ha conosciuto da vicino, me lo dipinge quanto amante della famiglia, altrettanto, per quanto soggetto a scatti d'ira, benevolo con i giovani e tollerante in essi anche della maggiore stupidità e ignoranza. Qui viene il dubbio se tanta sopportazione non derivasse da indifferenza, se egli proprio con i giovani non riuscisse a sdegnarsi perché non li prendeva ab– ba.stanza sul serio, perché li considerava in cuor suo infinitamente inferiori a se medesimo. Ma si parla male di un carattere, quando manca la conoscenza personale; solo questo a me pare certo, che per lui tutto il resto fu otium) negotium soltanto la storia e la po– litica, ch'è storia in, ipso statu na,scendi. 'blloteca Gino Bianco

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