Pègaso - anno III - n. 12 - dicembre 1931

Elefanti e altre bestie 669 ' È il modo di correre questo, su questo terreno da purgatorio, con questo buio ? Ogni tanto le ruote della vettura fanno c-iac ciac : è un acqui– trino, qualcosa di poltiglioso, perché palate s~enta"'liate di fan– ghiglia svampano e volano intorno alla vettu'ra. Ogni tanto, l'om– bra informe di qualche capanna si para innanzi come un fantasma: - ora la buttiamo in aria! - ma una brusca sterzata, e la capamm scantona, saetta via. Questo negro al volante ·sarà anche un delinquente, ma bravo a guidare è di certo. · Come si fa giorno, fermi : siamo in una largura di brughiera cinta da uno spalto di boscaglia folta: erbe che giungono ai gomiti, e, coperte dalle erbe, pozzanghere ove il piede cala, e il cuore vien su come se il piede avesse sentito bilicare, sotto, la botola di un trabocchetto. Gindo dorme beatamente, strizzato in un canto della vettura, col fucile tra le gambe ignude, e la testa a piramide col vertice in giù reclinata sul mantice ripiegato, e pur nel sonno sorride a piena dentatura. Un raggio di sole, Rolleticandogli le palpebre, lo desta: egli salta giù dalla vettura, prende il fucile, getta all'aria un grido acutissimo. Al grido, escono dalla boscaglia quattro negri: li ha mandati avan,ti il mio amico, e dovranno poi vogare nella piroga. Hanno camminato tutta la notte : ora riposavano, dormivano sotto un albero, dove il fuoco acceso da loro finisce di consumarsi. Uno porta una scure, un altro porta un rotolo di corda, un altro un fanale. Tutt'e quattro hanno alla cintola un grosso coltello, di quelli che adoperano i macellai, chiuso in un fodero di cuoio. Ora mi accorgo che anche Gindo ha uno di quei coltellacci al fianco. Il sole ascende dietro la muraglia verdenera della foresta, mette nel frondame pupille di fuoco, crea una vegetazione fantastica di globi sanguigni -e vibranti tra Je pingui chiome degli alberi. Per le chiome degli alberi corre fresco e ilare il soffi.odel vento, e tutta la foresta canta il suo inno mattutino al sole che si libra nel golfo latteo del cielo. Gindo s'avvicina al limite della foresta, cammina in qua e in là, scrutando nel folto dei tronchi e dei cespugli, cercando un pas- saggio. Poi ci chiama. . Entriamo nella foresta, camminando in fila, col fucile sulla spalla, carico. La foresta ci assorbe, si richiude dietro di noi come la pesante porta di una prigione. Gindo col negro della scure, ci precede saltando come una sç,im– . mia tra 1~ dure erbe o-li sterpeti e le prunaie, tra i grovigli delle radici e delle piant; :triscianti e annodate come mazzi di serpi, lioteca Gino_Bianco

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