Pègaso - anno III - n. 7 - luglio 1931

Soffio 9 vertimento improvviso del malessere che il giovine aveva avuto mentr'e:ra ancora con me. - Ah sì ? Un malessere ? - La vita cos'è! Basta un soffio a portarsela via. Ecco, ripetevo meccanicamente la frase perché, sotto sotto, il pollice e l'indice della mia mano destra s'ljran toccati da sé, e da sé ora la mano, senza parere, mi si levava fino all'altezza delle lab– bra. Giuro che non fu tanto con la coscienza di darmi una ri– prova, quanto piuttosto di fare a me stesso uno scherzo che solo così di nascosto, per non parer ridicolo, potevo fare: trovandomi quelle due dita davanti alla bocca, ci soffiai su, appena appena. Bernabò era alterato in volto per la morte di quel suo giovane segretario a cui era molto affezionato ; e tante volte, dopo aver corso o soltanto affrettato un po' il passo, corpulento, sanguigno e quasi senza collo, m'era venuto avanti ansimando e s'era anche portata la mano al petto per calmare il cuore e riprender fiato; ora, vedendogli fare quello stesso gesto e udendogli dire che si sentiva soffocare e occupar la mente e la vista come da una strana tenebra, che cosa, in nome di Dio, dovevo credere? Sull'istante, pur tutto smarrito e stravolto com'ero, mi gettai a soccorrere il povero amico piombato riverso e boccheggiante su una poltrona. Ma mi vidi respinto furiosamente; e allora finii per non comprendere proprio più nulla; mi sentii come gelare in un'attonita apatia, e stetti a vederlo sussultare su quella poltrona di velluto rosso, che mi parve tutta di sangue, sussultare non più come un uomo ma come una bestia ferita, e smaniare il respiro, e diventare sempre più pavonazzo, quasi nero. Faceva leva con un piede sul tappeto, forse per rizzarsi da sé, ma si sfiniva in quello sforzo; come nell'incubo d'un sogno, vedevo il tappeto scivolargli sotto, arricciandosi. Sull'altra gamba, storta sul bracciuolo della poltrona, il calzone tirato gli aveva scoperto la giarrettiera di seta, d'un color verdolino a righine rosa. Domando un po' di conside– razione per la mia carità: tutta la mia inquietudine era come schiantata e sparsa qua e là, tanto ehe poteva come niente dimen– ticarsi, a un volger d'occhi, o nel fastidio che avevo sempre avuto dei miei brutti quadri appesi alle pareti, o anche nella curiosità che mi tratteneva lo sguardo, ecco, sul colore e le righine di quella giarrettiera. Tutt'a un tratto però mi ripresi, inorridito d'essermi potuto in tal momento alienare fino a tanto, e urlai al mio came– riere che volasse a fermare davanti alla porta una vettura, e poi su ad aiutarmi a trasportare l'agonizzante a un ospedale o a casa. Preferii a casa,, perché più vicfoo. Non abitava solo; aveva con sé una sorella, maggiore di lui, non so se vedova o vecchia zi– tella, insoffribile per la puntigliosa meticolosità con cui lo go– vernava. Allibita, la poverina, con le mani nei capelli : « Oh Dio, Biblioteca Gino Bianco

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