Pègaso - anno III - n. 3 - marzo 1931

La creta 289 l'aggiustava in fila con glLaltri cinque o sei che aveva trovati, da poi che s'era messo a spianare l'ultima gobba della frana, il tremito saliva e Ri confondeva ancora nel respiro; ma egli lo schiacciò su– bito, puntando forte contro una vanga, se lo strappò dal petto e lo gettò lontano con quella palata di terra che gli fiaccava le braccia. E'vangò a furia perché hon tornasse, con tutto il corpo abban- donato contro l'impronta lucida che il ferro lasciava nella terra; .vangò a ore, e le lacrime gli empivano gli occhi fissi, prima di colare giù per il viso, calde come sangue, sì che davanti gli balenavano e scomparivano adagio le due mani inchiodate al manico liscio: con– fusamente passavano e ripassavano come se dovessero andare da sole~ giù e su, giù e su, in eterno; inutilmente ne ebbe pietà, ché, mentre cercava di fermarle, erano già in aria dietro un'altra pa– lata di terra, come se in eterno dovessero ritorcerlo sulla vita rotta_ Vangò a ore; e quando venne su dalla fossa, ormai fonda, un martello quadrato da marmisti, le mani lo buttarono là in un canto; e quando sporse a fior di terra un grosso trave roso, le mani lo spostarono a forza; inutilmente lo scemo cercò un gemito, ché si fermassero: solo le sue lacrime eran più calde nello spasimo. Di tratto in tratto vedeva gràndi nuvole lacerare il cielo, nella furia di correre a disfarsi nell'ammasso grigio ta,nto denso e duro ·che, sotto il peso, la luce chiara s'incupiva all'orizzonte e tremava d'oppressione in una linea livida lungo i monti. Confusamente lo scemo aspettava di essere schiacciato contro la vanga da quel peso crescente ad ogni frana, quando, nello scolorarsi delle lacrime, egli vide anche la terra fendersi e dirompersi intorno alle due mani che sole andavano in eterno, e tutto precipitare in squarci dilatati e sconvolti da una furia, crescente contro la furia del cielo, fino al cerchio dell'orizzonte che sotto la rovina tremava sempre più forte, travolgeva tutto in un gran lividore rapinoso. Ed ecco che qualcosa di più forte sorgeva e dilagava, riempiendo il velo delle lacrime : un chiarore d'alba sbiadita, in cui la luce li– vida si spengeva a poco a poco e le mani s'acquietavano, un biancore che si fece lucente sì da suonare contro la vanga. Lo scemo cadde, e sentì quel bianco tanto lii,icioe fresco che chinò la testa, e gli parve d'avere fa gota affocata dove nasce il botro e Ì'acqua riluce ap– pena sulla pìetra. Come si segue lo sgorgare lento della polla, indu– giando dove si partono più vene tenui, la sua mano seguì quella freschezza, scavando adagio, e la sentì mutare, ma non confondersi come fa l'acqua con la,.terra. Allora egli aprì gli occhi, e vide le sue dita carezzare le dita sottili di una mano, abbandonata su qual– cosa che saliva nitido e rotondo da parer morbido, e bianco sì che la terra all'intorno ne era rischiarata. Provò a scavare ancora : le zolle parevano molli e si sfacevano su quella bianchezza che n'era offuscata appena, qua e là, così 19. - Ptgaeo. · BibliotecaGino Bianco

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