Pègaso - anno II - n. 11 - novembre 1930

640 V. GOETHE, I dolt,ri del giovane Werther rafaggi » (badate che si tratta di maggiolini) per tuffarsi « in questo pelago di fragranze» e in compenso quante lacrime non versa « sulla memoria del trapassato in quel cadente gabinetto » (honny soit qui mal y pense : si tratta, di un padiglione in rovina) ; fra gli steli egli ode < il vagito di tutto un piccolo mondo di moscerini e d'insetti >>e, rivolgen– µosi a Dio, prega: « Oh Padre non mi garrire!>>. E basti ornai! Leggete ora questa meraviglia di limpida essenzialità nella versione di Borgese : « Recentemente andai alla fontana, e vidi una servetta che aveva, appog– giato la sua brocca sull'ultimo scalino e si guardava attorno; sperando che qualche compagna sopraggiungess~ e l'aiutasse a alzarsela sul capo. Io scesi e la guardai. - Volete aiuto ragazza? - le chiesi. Essa ar– rossì fino alla radice dei ca,pelli, e disse: - Oh no, signore! - Senza complimenti - feci io. Allora si aggiustò il cercine; e io l'aiutai. Essa mi ringraziò e salì la scala ll. E divertitevi adesso al lepido virtuosismo alla Basilio Puoti del buon Ceroni: « M'avvenni ultimamente, alla fon– tana, in una giovane villanella, che aveva deposto il suo secchio sugli ultimi gra,dini, ~ si guardava addietro a vedere se non giungesse la sua compagna a riporglielo sul capo. Io scendo e la fisso in volto : - Ch'io v'aiuti, ragazza ? - le dissi; ed ella a farsi tutta di porpora: - Oh mio signore, - rispose, -:--la non s'incomodi. - S'acconciò il cercine sul capo ed io v'adagiai il secchio; ringraziò ella allora alla sua volta e s'avviò per la scala>>. Per tacer delle altre, àlla traduzione di Luisa Graziani, la più· re– cente (1922), non si può certo disconoscere rispetto assoluto all'origi– nale. Ma questa fedeltà somiglia troppo a quella delle mogli brutte. Uno dei pezzi più alati della traduzione ossianica atterra e diventa pedone: « Esci dalle nubi, o Luna! risplendete, stelle della notte! Un rag– gio mi guidi al luogo dove il mio amore riposa dopo le fatiche della caccia avendo vicino l'arco disteso e i cani ansanti». E Borgese: « O luna, sorgi dalle tue nubi; palesatevi stelle della notte! Un raggio mi conduca al luogo dove il mio amor~ si riposa dalle fatiche della caccia, ed allen– tato l'arco gli giaccia accanto ed anelando gli stanno intorno i cani ll. Que·sta è lirica, ritmo, strofe. E trascuriamo altri confronti da cui risulterebbe chiaro come per esempio la Graziani, traduttrice esimia ma debole artista, finisca per ridurre il drammatico a battuta di romanzo d'app,endice mentre il Ceroni trasforma gli stessi punti in parodia in– volontaria. Non contano più paragoni quando si dica che con Borgese Werther entra per la prima volta a far pa.rte della letteratura italiana COJile l'opera narrativa di Poe in quella francese con la versione di Bau– delaire. E che questo libro va letto e giudicato non solo come opera di superiore obbedienza all'originale, ma qu3isi come originale e schietta. F d ,opera él.i.uoes4i,.T .a . on· azione Allrea L4'WJ.Jl. ENa1co RoccA. Biblioteca Gino. Bianco b GO OJETTI, Direttore responsabile PIETRO p ANCRAZI, Segretario di redazione L 'b d tTIPOGRAFIA ENRICO ARIANI - VIA s. GALLO 33 - FIRENZE 1 ro ona o alla Biblioteca Gino 3ianoo ·da ..... Oi~---~ 1 1l1 çlaba .. 7 ;i~\-~J~\0 " .........

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