Pègaso - anno II - n. 8 - agosto 1930

Cesarino in vaoanzà 205 La srunta donna non s'era evidentemente accorta di nulla. Op– pure aveva caé,eiato un brutto pensiero per la stima che dcmeva avere della nipote? E i,n tal modo dava consenso alla tresca. Aveva una di quelle bontà così cieche, così ottimistiche, di quelle bontà che non si aecorgono di alcuna intenziollle, che non prevedono alcuna co111seguenza,che si affidano in tutto alla provvidenza, che preparano incoscientemente la catastrofe: una bontà delinquente. Nessuno poteva ormai più liberarlo. ·Un'aria di malsamìa aleg– giava per la casa piena di santimònia. Dei suoi colloqui con Pi111a; Cesarino non rammentava che una specie di flusso spasmodico. Non c'era più rimedio. Doveva rimanersene là, succhiato, oltre che dalle voglie d~lla nipote, a111che dalla bontà, dalla cecità della zia Be– renice. Una volta di più gli fu impossibile separare l'una dall'altra. Erano necessarie l'u111aall'altra. Gli sembrava di essere in quella casa fin dal principio dell'etemità, che la sua liberazione -sarebbe stata oramai impossibile. Quando le signore rundarono a prepararsi per il pranzo, Cesa– ri1110, rimasto solo, ebbe una grrun voglia di buttare all'aria tutti i mobili, tutte quelle forme -statiche e false, per vedere come erano fatte dentro. S'era messo a batter le cose inanimate perché camtas– sero. Perché anche quelle, come Pina, dovevano avere un segreto. Lo rodeva il poosiero che ogni cosa dovesse possedere una seco111da 111aturacome Pi111a : amche la zia, anche la casa. Tutti, meno lo zio, troppo semplice e ridicolo. La sua prigionia gli divenne insop– portabile. S'arrabattava come chi ha l'acqua alla gola. Misurò a passi la stanza. Si t:rovava a ogni momento davanti ad un mobile, contro un muro. Tutto fra i piedi. Tutto lì a legarlo, a impac– ciarlo, a proibirgli di respirare, di tornar libero come quand'era a scuola. Tutta quella roba messa là dootro a bella posta per impe– dire a u111a persona di camminare liberamente. Come un gioco. Un bel giochetto. Proviamo a fare il labirinto, a passare in m~zzo ai tavolini, alle seggiole, sbiaccandosi, slungandosi per n0in spostar niente, come la palla che ruzzola tra i birilli senza buttarli giù. Ogni tanto tentennava llill oggetto. Egli n'era spaurito e tossiva. - Aveva paura di sentir dei rumori. Tossiva sempre superstiziosa– mente. Fece a lungo tale giostra finché non si sentì sfinito e non ebbe il capogiro. Aveva contato ogni mobile, aveva dato a ciascuno un numf'ro; la sua testa era piena di numeri: numeri smaltati come i numeri delle case, numeri in fila e in colonna come quelli della tavola pitagorica. · Allora si ficcò una mooo in tasca con tal violenza (data quella mossa nuova e inaspettata a se stesso, ora ch'era intontito a girare come un somaro al bindolo) che tutto il vestito fece crac. Tirò fuori una manata di lire : tutto quello che aveva e che il padre, dopo avergli pagato il biglietto, gli aveva lasciato in tasca propooendosi BibliotecaGino Bianco

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