Pègaso - anno II - n. 8 - agosto 1930

Quattro' cani 167 «campiello)), limitato a destra da ·un tempio ;mirabile come uino scrigno gemmato, a sinistra dalla terrazza d'una vecchia çasa che trabocca di gerani im.fiore, e, in fondo, da un invisibile rio. A sera, se tace lo stridi(/ dei monelli e il lor girotondo, la piaz– zetta pare assorta e quasi in attesa d'un evento miracoloso. E tale ti sembra ogni volta l'apparire improvviso del ferro d'un'intermiina– bile gondola che inornl'uomo invisibile, ma il tempo e il destino sem– brano condurre. Enorme quel ferro ti pare e imperioso il suo prece- dere quella magica chiglia. - Dall'altro lato della casa, un giardino. Antico giardino zeppo di nidi e fitto d'alberi diversi, taluno dei quali si piega og,ni amno di più verso l'inevitabile frattura della morte. Lo fiancheggia il mura– glione cieco d'un palazzo antico, lo rallegrano pic0ole statue ar- cadiche. · Nella verde ombra, una macc~ia d'oro. È Lilla, la cagma scozzese : muso aguzzo, grandii oochi buoni, pe– lame fulvo di leonessa. Non ci difende, perché ama tutti : l'inquietamo soltanto le grida dei monelli contro i quali latra instamcabilmente. Felicità di que– sti, tormento dei vicini e degl'im.quiliiili. .Strana la casa e strani i suoi mutevoli im.quilini ! Nei giro di pochi anni vi si ·sono alternati un laboratorio di mode e un convento di moillache. Dapprima lazzi, risa, capriociosi volti alle mestre e dame ansiose ,alla porta; dopo, canti serafici, infamtili strepiti e riverenze di cOillfessori melliflui per le scale profumate d'incenso. Da chi mai ho io ered[tato questo amore pei cani? Non da mio padre, troppo i111 alto oon i suoi giusti e ordinati pensieri, non da mia madre ché la piena del suo chiuso cuore tra– boccava solamente sui figli e s'arginava in Dio. Rivedo. 111el giardino il suo gesto diffidente e pavido agl'impeti lieti del mio cane. Forse quest'::i,more comincia ,da 111oi. E s'allu111ga nelle piccole ma/Ili dei nostri figli che arruffano fiduciosi quel pe– lame e tirano quelle povere orecchie, ridendo del viso deformato, o cercano• di saltare su quella groppa, felici di cadere og,ni volta. La Lill~ .ama i fanciulli, noiil ama i suoi maschi. È troppo bella e troppo buooa per 'amarli. L'ha presa un giorno e l'ha fatta madre un bastardo. E un mattino, l'abbiamo trovata distesa sul limitare del giardino. U111dici creature s'affannavano, s'inerpicavano, rotolavano sul suo ventre turgido di latte. U111:dici bocche predaci parevano suggerle la vita. Tu.erte, sfi111ita,volgeva a tratti, lentamente, i suoi grandi oochi di madre felice. Assistita, nutrita, portò avaIDti la gran figliata, ma fu 111ece.ssario interromperle quel faticoso piacere. Un lugubre veterim.ario decretò che fosse dispersa la metà dei figli; i vicini tempestarono la mia Biblioteca Gino Bianco

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