Pègaso - anno II - n. 8 - agosto 1930

Ricordi di Joyce 151 quali ha insegnato l'inglese; ricorda certe vie cittadiine, le suf' care vie di Città Vecchia, co1I1 le osterie e le friggerie che forse non esistono più; al 1I1omedi Svev,o, si commuove, e s'iindigna che urn uomo di tal valore abbia potuto morir così presto. Passa da un argomento all'altro; v'intromette a,neddoti, nella sua favorita forma dell'apologo. Si rallegra della prima traduziollle giapponese d'un S"Q:O libro, IIlOIIl ricordo più quale. La sola cosa, - egli dice, - che non lo i.interessi più per 1I1ulla è la politica. « Nessuno se ne oceupa del resto, soggiunge; IIlOn è più di moda)). Ora alle impressfoni di ieri, di mia moglie mi sostituisco io coi ,, miei ricordi più o meno lontani. Quasi ,alla giovinezza devo tor– nar~ : quando s'incomi1I1ciò a parlare, a Trieste, d'U1I1nuovo pro– fessore che era UIIl portento nell'insegnare l'inglese. Ed erano pur freschi nella città i ricordi di Pietro J ones, altro uomo singolare, altra celebrità in questo insegnamento. Joyce, quando giu1I1sea , Trieste, aveva poco più di vent'an1I1i, ed era stata Pola la prima tappa di un viaggio di nozze, che era anche un viaggio di ne– cessità per trovar da vivere a questo mondo. Un giovame irlan– dese, affinato e piegato dalla scuola dei Gesuiti fino a saltarne fuori di scatto rompendo tutto, e u111a giovanissima sposa che aveva molto amore e molt10 coraggio dietro il visetto attonito, IIlOnpo_s– so1I10nemmeno essi vivere d'aria. A Pola trovano un giovane :fio– rentino, il professor Alessandro Francini-Bruni, e un'altra giovane signora, che erano ancor essi -dinanzi -allo stesso problema. La Ber– litz-School li a,veva chiamati, e per il momento li salvò tutti e quattr,o. Joyce i111segnava l'illlglese, e Francini il pretto toscano. Un po' diverso dall'italiano in cui Joyce incominciava a lanciarsi. « Par– lava allora uno strano italiano, - rac<,0111ta il Fra,ncini, - stracco convien dire meglio che strano, un italiano ciompo pietno di tra– fitte e di scrofole. Era, in ogni caso, una lingua morta che veniva ad . unirsi alla babele delle liingue vive)). Dopo UIIl3Jllno, ven1I1eroi duf' nuovi amici a Trieste, ancora alla- Berlitz-School. Bolletta 111era. Ma ben presto l'Accademia di Commercio rapì Joyce a quell'umile cattedra; e i111cominciòla fama di lui. · Fama di professore d'inglese, intendiamoci. Giacché le poesie che a quando a quand<' egli mamdava a riviste di Dubli1I10,erano una sua faccenda privata e lontana, né i triestini avevaJilo a sapere del suo libretto di ve_rsi Ohamber Musio, del ,quale i maestd irlandesi musicavano tutte le pagine. Joyce era· già qualcuno 111ella sua patria abbamdonata; ma a Trieste non s'atteggiò mai a letterato; permise a tutti d'ignora,rlo; forse ci trovava pi,acere, e difatti dovea essere bello. Non v'era akun bisogno che tutti subodorassero in lui la già vissuta, se 11101I1 amcora rivissuta, esistenza di Stefano Dedalus. Me– glio il professore coscienzioso e probo, che accettava l'esilio come

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