Pègaso - anno II - n. 8 - agosto 1930

r Riooido di Angelo Conti 225 Una tal veduta è tanto totalitaria da implicare una precisa nozione ·dell' essenza. stessa dell' arte e un metodo critico logicamente conse– guente. Se nell'arte si perviene ·al superamento della volontà di vivere, se essa rappresenta una partecipazione a quella vita universale e supe– riore nella quale si annienta il dolore della vita individuale, essa si manifesta di pura essenza religiosa. Ecco, dunque, che la creazione arti– stica si pone sul piano mistico della preghiera, ed ecco che l'esercizio del– l'arte diviene la via che mena alla conoscenza di Dio e all'annientamento in Dio. Che sorta di critica è dunque possibile nei confronti di un'arte sì trascendentale ? Il critico non è che un lettore di più sottile sensibilità; il suo abbandono nell'opera contemplata, il suo oblio di se stesso deve essere così intenso da consentirgli una continuazione ideale dell'opera d'arte. In altri termini, il critico non potrà, che esprimere uno stato d'animo lirico determ,inato in lui dall'opera f'Onsiderata; questa espres– sione artistica è destinata a informare i lettori della potenza vitale e fascinatrice del ca,polavoro. Angelo Conti lasciò presentire questa ima teoria nelle belle pagine del Giorgione (Alinari, 1894) ; ma non la espose in una vera e propria trattazione che in La Beata Riva, trattato dell'oblio, preceduto da un ragionamento di Gabriele D'Annunzio (Treves, 1900). Nelle seguenti opere, Sul fiume del tempo e Dopo il canto delle Sirene, pubblicate dal Ricciardi, rispettivamente, nel 1904 e nel 1911, precisò e ribadì i suoi con– vincimenti attraverso brevi saggi teorici che lo ·conducevano gradata– mente ad approfondire sempre più il carattere mistico dell'opera d'arte. Attraverso vivaci prose polemiche, rimaste in grandissima parte ine– dite in volume e sparse per giornali e riviste, ma principalmente nella vecchia Tribuna e .nel Marzocco, sostenne una sorta di missionarismo, perché con mezzi di governo, Musei, Pinacoteche, Pubblica Istruzione, il pubblico fosse indirizzato all'arte, sola verità e bontà dell'universo. Nel 1927 pubblicò un ampio commento a un catalogo delle opere di Domenico Morelli, scritto che, per la sua atmosfera mistica, ricorda il primo Giorgione. La sua opera inedita, il San Francesco, e due .studi in– compiuti sul Paradiso dantesco e sul Rinascimento mostreranno come, sul declinare della vita, il mondo mistico avesse assorbito la sua vita intellettiva. È da ricordare come Angelo Conti sia morto terziario fran– cescano. Lo studio su Giorgione mostra un eloquentissimo esempio della sua maniera critica fin dalle prime pagine, specialmente nella interpre– tazione del Battesimo di Cristo di Giovanni Bellini. Conti contrasta non solo alla critica scientifica, poiché egli esige dal critico sensibilità e personalità di artista, ma sostiene un principio ancor più audace, ne– gando l'evolu_zione della tecnica. Per Conti la teénica di Giotto è per– fetta quanto quella di Giorgione, nel senso che la interiore visione di Giotto non poteva esprimersi che in quella determinata e deformata ma– niera; mentre lo spirito di Giorgione richiedeva invece proprio quel se- . vero ed esperto equilibrio natur.ali.stico. Questo principio lucidamente 15. - Pi-oaso. BibliòtecaGino Bianco

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