Pègaso - anno II - n. 7 - luglio 1930

Parole di...• musica di .... 35 Mimi lo preSellltò a IJl,Oi oon una grazia insieme timida e amdace, lievemente arrosi:,;endo, inor.goglita. Era il « 111ostro pa,drone)) o ipiiù esattamente il maiestro direttore e concertatoTe d'or.chesitra, quel che comamda, che ha la responsabilità dello spetta-colo di fo0111te agli artisti, à,ll'i.mpresario, al paese. La bacchetta del comando gli doveva star bene fra le dita, oome una bacchetta fatata da battere sul leg– gìo un po' seccamente, per ,dire che chi faceva tutto era lui. - E questo, - disse non so con quanta indulgenza la dolce Mimi, - è il figlio dei padroni d'i casa. È bravo, bravissimo. Scrive. Il maestrino si volse di scatto. Mi paJ've d'udire :ill ,rumor secoo <fulla baochetrta· direttoriaJe ba,ttuta oontro il leggio. - Ohe cosa fa ? Della prosa ? · - Sissignoce, bozzetti e 111ovelle. - E versi no? Niente versi? - Sissignore, amche vern:rl. - Bene, bellle. Si leggerà. Quel ma,estrino poteva essermi ma:ggiore di cinque o sei anni, ma non aveva le mie goffaggi111i e le mie timidezze, avvezw a trattar coi cantam..ti; e poi gl'inizi nOIIl ,S()[UO uguali per tutti e un musicista sarà sempre più disinvolto d'un poetino che, per ,o-ra, sa di non esser nessuno. Non mi vergogno a dirlo : 'Sulle prime io fui UJIITilissi:m.o e mo– strai defereinza aJ oompagmo mrusicista :i.mmaginaru.douna « bohème >> domestica per mio c0111to dove mancava anoora il pittore e il filo– sofo. In seguito ·oomirnciaia darmi delle arie e feci cadere dall'alto i versi e la prosa. E poi non è ve:ro che un poetino saippia di non esser nessU1110. A ,sedici, a dici'assette a,nni, ne!l 111ostromtimo, siamo tutti grandissimi. C'era anche allora questa assurda e ormai bana– lissima sproporzione fra quello che apparivo al mondo indulgente e quello ch'ero in realtà, IIlelmio cuore, doloezza angelic:a e orgoglio sata,nico tagliati 1I1ettamente in due parti come il lastrico della strada è divis o in sole e ombra, a filo di ,spada. Anzi, a quel tempo, quandlo ci.oè ero poco più che un ragazzo, credevo veramente d'es– sere un gran portent-0, U1I1 maindato da Dio, e tutti coloro che n0111 scribacchiavano mi facevano pena e dispetto, e fra ooloro ·che sori– bacchiaiva,no io ero il precoce, l'eletto, l'unto del Signore e, nello stesso· tempo, quello che Ila sapeva più lunga, che ne sapeva più del serpente. Mi mette vo .segretam~nte a oonfronto ()()(Il poeti e scrit– tori di buona fa.ma, di quelli che si dicono« univer-saJmente stimati>> evitando, per mancanza di vero coraggio, le ma.ssime altezze. Pan– racchi ? Peuh ! Io ~ò più di Panzacchi ! E IIlOnesisteva altra arte che non fosse questa, d'allmear ,parole per veinderle: la Musica, la Pittura, 1a Scuiltura, l' ATte Dramm.atioa eran tutte mie umilissime Ml.Celle. È incredibile come ci si possa illudere cosi grossolanamente a ibliotecaGino Bianco

RkJQdWJsaXNoZXIy