Pègaso - anno II - n. 7 - luglio 1930

' 126 L. P. FARGUE, Sous la Zampe,ecc. tanto benigna e sicura che nessuno sia disposto a trovare. la cosa men che naturale. Tra l'altro, si troverà una eccellente evocazione fan– tasiosa della persona del poeta n~ magistrale « Fargue enrhumé »_ ùi Luc Durtain, figura densa, carnale, in cui gli scambi della fantasia non sono che la finale efflorescenza di una ricca vita organica, ben nu-. trita da tutti i cinque sensi di un corpo d'una solidità omerica. Quanto alla poesia del Fargue, non è facile impresa darne una definizione preliminare, anche solo dal punto di vista formale, sten– dendosi essa tra due estremi che sono da un lato un'espressione spo– glia e lineare, di estrema stringatezza e semplicità evocativa, per giun-– gere dall'altro al pullulare di una prosa poetica, folta, succolenta e travagliata da mille fermenti; da trovare riscontro solamente in certi passaggi dello Ulysses di Joyce. E non potrebbero esser meglio simboliz– zati, questi due termini estr.emi, che dalle due frasi messe a epi– grafe dal Fargue a quella sua arte poettca che va sotto il titolo di Suite Familière, nel volume Sous la lampe. L'una· di J oseph de Mai– stre, « C'est le résidu vrai qui est divin »; l'altra del Valéry, <{Les vagues toussent dans leurs cornes >>.Da una parte dunque lo scru– polo e l' intenzione deliberata di escludere, di sfronda-re tutto quel · che è ·episodico, descrittivo, discorsivo, per giungere a rinchiudei:e nel breve giro di un' espressione quintessenziata quel tanto di realtà poe– tica che una- particolare intuizione comporta. Una serie di aforismi nella Suite Farnilière illustra ·questo cànone farguiano: citiamone uno, che li riassume epigrammaticamente: « Ne mets jamais d'eau dans ton vin. - Je ne vois dans l'art que le pur « cristal », le grain d'aniline qui peut colorer un verre à, liqueur, un verre à, dessert, une flute à, Champag·ne, un verre à, Bordeaux, un magnum, un jéroboam, une dame-j"eanne, une jarre, une barrique; un cuvier. - Le verre à li– queur ne m'intéressait déjà plus>>. E ancora: « Il faut que chaque mot qui tombe soit le fruit bien mur de la succulence intérieure .... L'art dans le cristal de bismuth qui déscend en lui-m~me et s'étage à l'in– téri~ur >>.Non solamente dunque, come Proust e assai più radicalmente di lui, Fargue è nemico dell'intellettualismo in arte, che egli bolla e persegue nei suoi epigrammi pittoreschi e truèulenti : ma è nemico, anche di ogni sviluppo e concatenazione disc9rsiva dei dati della sensi– bilità. Occorre dunque ricercare e ridurre alla sua purezza il « résidu vrai >>.D'altra parte, il solo mezzo che abbia l'artista di incorporare, _ di convogliare questo «residuo>> è dato dalla materia dell'arte: per il poeta, dal linguaggio. E la preoccupazione del linguaggio in senso con– creto, del valore della parola in quanto mater\ale costruttivo, è singo– larissima in Fargue, e lo pone alla punta estrema di quel movimento di riflessione critica iniziatosi in Francia col Baudelaire. Crediamo che Fargue non sarebbe per niente sorpreso se gli si parlasse di una scienza del linguaggio poetico, la quale tenesse conto, quanto alla parola, del suo peso specifico, della sua tonalità, del suo potere di espansione, di attrazione, di vibrazione, di discesa o di ascesa. E qui interviene appunto la leggenda mostrandoci un Fargue accanito cacciatore di parole' let– t?re infa~icabile di vocabolari speciali d'arti e mestieri, quasi ~sses-· s10nato, msomma, da ·questo elemento protoplastico, fluido e vivo. BibliotecaGino Bianco

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