Pègaso - anno II - n. 5 - maggio 1930

( 612 G. Pasquali giungerò ora, la lingua morta da non molti anni di Veglia, il dalmatico, studiato dal glottologo italiano Matteo· Bartoli. Ma osservavo anche che il più e il meglio della pronuncia latina antica nessun moderno potrebbe riprodurre senza sforzo e incomodo: voglio dire l'alternanza delle vo– cali lunghe e delle brevi e l'accento non espiratorio ma musicale. Or bene, quanto al e gutturale rimasto in parole che il tedesco ha in tempi molto antichi prese in prestito dal \atino, uno dei miei contraddittori suppone senz'altro che il nome tedesco dei Cimbri, che ha la zeta, sia stato trasmesso per ·tradizione popolare da Mario sino a ora, e non si chiede se quella non sia forma umanistica: nella Germania del Medioevo non esiste una Cimbria, come esiste u.na Svevia, e i Tedeschi hanno riap– preso quel nome &i classici la,.tini. Questo stesso tira in ballo pronunce inglesi di nomi di luogo italiani, quali Emmelfai (veramente è stampaito Emmelfei, ma io credo che qui ci sia uno sbaglio), per dimostrare che il modo come i sùoni di una lingua sono sentiti da uno straniero non prova nulla; e r;i.onriflette che quest,a pronuncia bizzarra deriva appunto dal– l'applicazione di r~gole ortografiche e ortoepiche inglesi alla parola scritta, mentre i Germani, che io sappia, non erano al tempo di Cesare così accaniti lettori come oggi le misses visitatrici de1 nostro paese, e mentre gli antichi facevano dipendere molto dall'udito e poco dalla pa– rola scritta, come quelli che poco leggevano e, quando potevano, si face– vano leggere (per esempio, da schiavi) ; e nemmeno considera la diffe– renza tra una pronuncia occasionale e trascrizioni che continuano im– mutate per secoli e secoli. Questo stesso contraddittore immagina che gli antichi Germani smozzicassero e travisassero una parola presa dal latino perché non si confondesse con una propria, similè di suono ma d'altro si– gnificato. Io ho pensato un momento che in lui rivivesse l'anima cli Raf– faello Fornaciari, di cui ,è fama qui in Firenze che una volta mentre, già vecchio, saliva un'erta, quasi per farsi coraggio, esclamasse tra sé e sé: « Salghiamo dunque questo poggio», e a un giovane accompagnatore, che lo aveva sentito e gli chiedeva: « Ma non si potrebbe, professore, dire : saliamo?», rispondesse risoluto: « No, saliamo la pentola, m,a salghiamo il poggio>>. E del povero Fellino qu~sto tale si rivela anche coetaneo, ci– tando, autorità inconcussa, un'opera sul latino volgare pùhblicata nel '68, quanùo, per non dir altro, _del/materiale epigrafico che abbiamo. ora, non era raccolta nemmeno la metà, e quel che era raccolto, non era spesso pubblicato fedelmente. Ma il disdegno contro i filologi, ingannatori di sé e di aìtrui, me lo fa parere più simile a quel glorioso Paneroni che non vuol credere agli astronomi che la t(ilrra giri intorno al sole, mentr''egli ve~.e con i prop~i occ~i il sole ~irare intorno alla terra: sono dispregi e odn della medesima risma. E pmttosto paneroniano è lo stile ché il For– nltciari, non linguista ma uomo di gusto non avrebbe mai chiamato una pronuncia « un fenomeno, quantunque' dottissimo, brutto assai>>, che sor;toparole accozzate a caso. Ma, altri fa peggio : mi fa dire che è la palatale che diventa labiale e non il contrario, mentr'io avevo scritto (p. 735) : « Cj. sarà chi vorrà sostenere che una palatale sia passata in gutturale dinanzi a vocale palatale?», cioè proprio l'opposto: ·l'opposto tranne si: intende lo sproposito di « 13!b'iale>> per «gutturale». In.te;essi fon~tici non sta'nno BibliotecaGino Bianco

RkJQdWJsaXNoZXIy