Pègaso - anno II - n. 3 - marzo 1930

PENSIERI SUI TEMPI CHE CORRONO. Marco Tabarrini era nato per essere scrittore e le vicende della vita lo portarono alla politica. Fu un peccato; ché le troppe cure dei pubblici negozi, a cui era men tagliato, lo distrassero da più proficuo lavoro. Cosi, tra i toscani dell'Ottocento, rimase un satellite di astri maggiori, che si chiamarono Capponi, Lambruschini, Ricasoli. Ma chi si faccia oggi a leggere o rileggere quel poco che egli pubblicò, sente che nel suo vagabondaggio intellettuale <l'era, materia per opere di polso, le quali gli avrebbero assegnato un posto eminente tra gli scrittori. con– temporanei, non soltanto per forbitezza ed eleganza di stile, ma anche per solidità di pensiero. Vera tempra di storico, possedeva una certa naturale inclinazione alla sintèsi, e sembrano di oggi alcune sue pagine, vecchie di più che settant'anni, contro i difetti della storiografia italiana troppo irretita nell'erudizione e nell'analisi minuta dei fatti ed inetta a sollevarsi dal particolare al generale. Erano idee sbocciate non pure da riflessione critica, ma anche da simpatie vichiane e dagli ammaestramenti della scuola storica giuridica del Capei, che egli aveva avuto maestro nel– l'Università di Pisa. 'Anc6ra studente, aveva tentato una introduzione allo studio della storia universale rimasta inedita. ,Sul manoscritto egli annotava, quando era già vecchio: « teintativi giovanili, più divi– nazioni che ragionamenti, ma pure se ne potrebbe cavare qualcosa, se si potesse coll'anima invecchiata tornare alle ardenti fantasie della giovinezza». Ed è vero; qualcosa si potrebbe cavare e servirebbe a porre in una luce migliore l'opera del Tabarrini, rinverdendone la fama con ciò che fu da lui sacrificato per troppo severo giudizio di sé, o per avversione a ritornare sulle cose abbandonate. Preso nel gorgo della politica, quando si iniziò la fase fattiva del Risorgimento, non ebbe più tempo di dedicarsi con serenità agli studi. Fu giornalista, anzi « soldato di ventura nel giornalismo toscano», cC1meegli scrisse, perché a quanti amici glie la chiedevano dava la sua collaborazione anonima; poi, per mezzo secolo, ininterrottamente, le cariche pubbliche da quella di deputato e ministro del Granducato a quella di senator~ del Regno, lo trassero dalla .storia narrata alla storia vissuta. E la penna gli servi spesso a distendere documenti che questa storia riflettono, sia che scrivesse il proclama del Governo provvisorio tosc·ano per la guerra del 1848, sia che, più tardi, fosse chiamato a dar forma ai discorsi della Corona. Bibl'iotecaGino Bianco

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