Pègaso - anno II - n. 1 - gennaio 1930

96 G. Alberi-i trapezio. E ricordiamo che la fanciulla, è Janet Gaynor, la più delicata ingenua - come si diceva ai tempi del teatro - che conti oggi il ci– nematografo. Questo genere di stile spinto addirittura all'estremo, fa il valore unico della Giovanna d 1 Arco di Dreyer, e dico unico perché un tale film non si accetta che in quanto eccezionale. Come nella Santa Gio– vanna di .Shaw il dramma, anziché da un'azione, sboccava insospetta– tamente dall'argomentazione dei vari contraddittori, qui il foco è tutto puntato sui nudi volti delle dramatis personae. Non si può parlare di primi piani perché son tutti primi piani. L'intero fi~m è un solo gigan– tesco primo piano, e potrebbe contrarsi nell'immagine di una enorme testa anonima: l'Angelo della cattedrale di Chartres, poniamo, ma smi– surato come la Giunone Ludovisi che narrasse il dramma coll'impertur– babilità dello Storico della Settimana .Santa o del Corifeo della tragedia greca. O piuttosto, per suggerire il senso di monotonia di questo film che s'affida tutto all'elemento fisionomico, si pensi a una cripta bianca e liscia, viva soltanto di un rosario di colonne pari pari, differenziate solo nei capitelli che rappresentassero ognuno un personaggio nelle sue varie espressioni sentimentali e passionali. Non c'è più protagonista. È una cappella non in onore di una santa, ma commemorativa di un avvenimento in cui tutti sono ugualmente travolti da un comune de– stino. Sono sguardi, sorrisi, corrugamenti, tutte le contrazioni e tutti gli allentamenti, che le evoluzioni spaziali dell'apparecchio colgono su questi volti mondi da ogni bellett<;i. Impresa ardua e arduamente realiz– ~ata. Sì che 'per Dreyer non pare esagerato parlare di genio cinemato– grafico. Ma genio di un carattere troppo peculiare per non far nascer gravi dubbi sulla validità essenziale di un tale stile che esaspera la nudità del viso umano fino all'allucinazione. Q1,1est'odore acre d'incenso sa troppo di compo~izione chimica: per intenderci siamo nell'atmosfera dell' Annonce faite à Marie. In un tale cenacolo la mia preghiera più sincera non può esser che q'uesta : « Signore, liberaci dagli spettacoli d'eccezione)). E usciamo a respirare un'aria meno rarefatta, aria americana, di big city o d'avventure militari di tono sportivo. La folla (Crowd) e Primo amore (Lonesome) ci mostrano tutt'e due una coppia di piccoli impie– gati persi nella vastità tumultuante di New York. Ma in Primo amore, complessivamente puerile e volgare, di notevole non ci sono che due sviluppi di velocità mantenuti con una certa bravura: il risveglio e la corsa all'impiego parallelamente del :r:p.eccanicoe della telefonista e l'in– crociarsi continuo dei due mestieri nel gran quadro-quadrante dove la lancetta li assilla collo staccato di ogni secondo fino al sospirato ·fischio della sirena che li affranca dalla fatica e riconduce ognuno alla sua solitudine; e poi, al Luna Park, il carrello vertiginoso dell'otto volante che finisce per incendiarsi. Ma basta coi Luna Park. Veramente· ce n'è uno anche nella Folla ma solo brevemente episodico, e King Vidor ha puntato qui su altro che su un mero pezzo di bravura. Ha voluto nar– rare la storia di un qualunque man in the street, allevato in seno a una modesta famiglia nella superstizione di una grandezza avvenire e che invece, s'intende, non esce mai dalla folla. Questo tipo psicologico del / BibliotecaGino Bianco

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