Pègaso - anno I - n. 12 - dicembre 1929

ll Cristo· corrucciato 665 lori, rari e intensi oome in una sublima,zione magica. Poi m'acoorsi che il mirabile veintaglio .si spiegava da ulll grosso cristallo di rocca posaJto su d'Ulll tavolino. Un bel rag,gio di sole eintrava da UIIladelle finestrine: nell'al~ra, un colore viola di montagna in ombra. Le sup– pellettili semplici e gentili della stanza se IIlestavaino oome immerse in un vago i1I1cantesimo; ed io scoprivo di mano in mano il casset– tone, il ,tavolino, la picoola cassapanca lavorata colll U1I1 rustico senso di grazia. Nessu1I1 .San Gerolamo ebbe mai, nella fantasia dei suoi pittori, una cella così degna : tutta rivestita di legno biondo, rallegrata di poche oose faJmiliari, illumilllata da due finestre piene di primavera. Nulla di quel doloe rifugio avevo veduto la sera innanzi. Ma troppo ero oppresso dalla stanchiezz.a : ullla st·anchezza del corpo e · più ancora dello spiri:to; cosicché, tenendo dietro materialmente alle parole di Don Achille, poco IIle avevo compreso il senso tragico. Scioltomi dal duro so1I1no,ritrovatomi in quella cella serena, ri– peinsai a ciò che mi aveva detto il povero amico; ma 1I1on riuscivo a concepire la sua .sveintur•aoome una co sa tutta tenebra, mentre in– torno vedevo tanta luce. Mi vestii ra.pi:damente e discesi smanioso di dirgli le parole d'affetto e di consolazi01I1eche sentivo sorgere dal– l'animo commosso. La stanza a .pianterreno mi parve pure trasfigurata. Nel rettam– g,olo della porta spalancata s'iìnoorniciava una prospettiva d'imma– gini ddeinti: U1I1 po' di chiesina bianca, UIIlpo' di saicratino verde, il lustro, laggiù in fo1I1do,d'un'a,cqua cadente da una doccia di legno in un tronco d'albero scavato a guisa di vasca. Ma Don Achille IIlonc'era IIlé lì 1I1é fuori. Lo cercai 1I1ell'orto, nella chiesa; girai ·fra le capanne; guardai 1I1el burrone, come se potesse essere laggiù. Poi passai il ponticello e m'i:IIloltrai 1I1ellapia.nura di là, fra macigni, lembi di .prato, canali, acquitrillli. Sassalbo mi sor– geva di faccia, terribile e stupendo, tutto di metallo argenteo, finito illl alto da una serie continua di picchi uguali che rendevano l'im– ,magine di una merlatura; in basso poggiava su pendii e frane di frantumi addossati come a rincalzo delle fo1I1damenta: muraglia davvero, costrutta oon la regolarità d'un'arte imperiosa, a chiudere da quel lato. Quakhe brigatella di larici ,saliva faticosamente per le sassaie :fimoai pfod,i dlella muraglia; ma lì cessava ogni verde, e la terribile .semplicità della pietra, era solo variata da un filo dfacquat crundida oome latte, che, staccaindosi da un nevaio perduto in cielo, soe1I1deva derente alla rupe, senza rUIIIloreche s'udisse, senza appa– renm di movimento. Il pensiero che io fossi sceso di lassù mi fece rabbrividire. E mi volsi a guardare dalla parte di Croda. Del vil– laggio, nasco.sto dietro i macigni, si scorgeva soltamto un po' di fumo sorvolante e la punta del campanile, a cui faceva da sfondo quell'altra rupe, rigata di nero ciomese dal sommo orlo si versassero BibliotecaGino Bianco

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