Pègaso - anno I - n. 12 - dicembre 1929

Latino francese, latino italiano e latino latino 737 di degno un Italiano nato a sud o a nord degli Appennini : breve il primo, lunga il secondo; oppure riéhiamo la loro attenzione su nessi come un de' tuoi dove il de', pur poco o punto accentato, è lungo. Ma questi non sono altro che rudimenti. E tentare d'insegnare a scolari ita– liani a pronunciare il latino a lunghe e brevi, come pur si prova con buona riuscita in scuole tedesche e francesi, significa perdere il ranno e il sapone: ci riuscisse almeno il maestro, ma non ci' riesce. Eppure il verso latino è costituito da successioni determinate di brevi e di lunghe; e Cicerone e •Quintiliano ci attestano che l'armonia della prosa dipen– deva dalla quantità. E pensare che ci sono viaggiatori stranieri, e a volte sono :filologi, che, assistendo alla liturgia della settimana santa al Gesù o a San Giovanni, s'illudono di sentire l'eco della pronuncia latina autentica! · La quantità è per noi morta; e morto è anche l'accento. Quel che noi chiamiamo accento, svisa la pronuncia del latino anche se batte le stesse sillabe che «batteva» l'accento antico, perché questo era tutt'al– tra cosa. È ormai sicuro, per merito particolarmente di studiosi francesi, che l'accento latino del periodo classico, quello, per intenderci, che non, va oltre la terzultima sillaba, era, non certo unicamente ma essenzial– mente, musicale, non espiratorio; era inalzamento di tono, più che au– mento d'intensità. Ed è naturale che nelle lingue antiche fosse cosi, se la qµantità aveva in esse tanto spicco. In altre parole, l'accento latino dell'età classica era più somigliante a quello dei Cinesi moderni che a quello nostro, era una intonazione. Si badi, e nelle nostre città ce n'è ora spesso occasione, si badi a due mercanti di perle false che discutono tra loro, e si sentirà come l'altezza tonale muti di sillaba in sillaba (che per il cinese vuol dire di parola in parola). In latino e in greco si chiamava accentata la sillaba che aveva il tono più alto. Questo accento musicale esiste ancora in alcune lingue germaniche, lo svedese e il norvegese, il che non esclude che le loro parole abbiano anche, di solito sulla prima sillaba, un accento nel senso nostro, un accento d'in– tensità. Ed accento musicale esiste, a guardar bene, anche nelle nostre lingue, anche in italiano, ma come accento sintattico, non come accento delle singole parole. In Europa ogni provincia, anzi ogni paese, accusa l'aitro di cantare; tutti in verità, anche i meno musicali cantano (per l'accento musicale non vale neppure Frisia non cantat !), ma ciascuno sente il canto dell'altro, non il proprio. Il canto, l'accento musicale di frase è ciò che in una lingua straniera s'impara da ultimo o non s'impara mai: lo straniero stona; quando non stona più, è divenuto un nostro connazionale. Noi stessi cantiamo in modo diverso, quando narriamo o - quando interroghiamo (o esclamiamo), o quando chiamiamo; anzi va.– riamo anche, secondo chiamiamo un vicino o un lontano. Un O Giovanni :fiorentino ha la sua melodia, ha le sue melodie, almeno due. La melodia del latino classico è m9rta, morta per sempre; eppure le lingue antiche, appunto perché mancava nell'età classica l'accento espiratorio, l'accento nostro, erano tutta melodia. Non ho ragione di dire che, sparita -la quantità, sparito l'accento musicale, della pronuncia latina non è ri- ·masta che la salma esangue ? E per un cadavere non mette conto che ci accaniamo. I dialetti quali sono ora, potranno anche morti essere ri- 47 - Hgaa,. BibliotecaGino Bianco

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