Pègaso - anno I - n. 7 - luglio 1929

28 C. Alvaro dorla ! - d1sse il Borriello. - Perché: povero Mandorla?··- È il più debole di tutti e il più tris~e. Che gli resta da. fare ? . . U!lla voce dal fondo si levò m quel momento, dietro gh accordi del pianoforte : il Mandorla cantava nascondendosi il volto : la voce usciva battendo contro la cassa armonica dello strumento, era una voce appannata dapprima, come d'uno che camtasse nel ri– cordo, o con una coltre sulla bocca; a mano a mano diven!lle .più chiara, gli spazi fra una frase e l'altra si fecero meno stM1chi, e la canzone, una vecchia canzone italiana, si levava intorpidita co!ll le sue gaie, i suoi sboffi di seta, il suo corpetto alto, le sue piume di struzzo. Il Mandorla conquistava lentamente i to!lli più alti come in una pericolosa ascensio!lle, e fu appunto a una delle note più acute che passò un brivido sull'uditorio, e lo stesso cantore, ango– sciato, lllon riusciva a rattenere le lagrime che gli scivolavano fra le dita come i grani di una collana di cui si sia rotto il filo. Da un tavolino, un uomo si levò traballante, pur senza lasciarsi cadere il monooolo dal cavo dell'occhio e si mise a gridare : « Italia ! Italia ! Napoli! Otpri ! Firenze!>> Non sapeva dir altro, ma avanzò verso il gruppo ,el prete con una bottiglia di vi!llo spumante in mano e 1I1e riempì i bicchieri dei tre amici del ,Mandorla. Una donllla, nel follldo, rosa in viso e con gli occhi lucidi, agitava le mani dicendo qualche cosa d'incomprensibile; poi con uno scatto raggiunse ullla sedia presso il pianoforte e si mise adi ascoltare puntando gli occhi fobbricitanti sul cantore. Il quale appariva pallido, di un pallore di perla, e trasfigurato. Il Borriello e il Ferro, che avevano vuotato di colpo i loro bicchieri, si accostarono anche loro al compagno, e la v,oce del Mandorla si spartì come un ruscello che si perde qua e là in diversi rami, colllrumori diversi, d'argento, metallici e cupi: la voce del Ferro bassa e ronzante le volò intorno come un moscollle, quella acuta del Borriello, sguaiata d:'ullla sguaiataggine popolare, acuta e sgangherata, ridicola e patetica, v-olòalta. Fu U1I1 coro mai sentito, con le picchiettature e gli strilli selvaggi che improvvisa– mente venivano alla memoria dei cantori dal loro paese, con le variazioni delle voci di testa e nasali, con gli oh oh oh ! e gli uh uh uh! gettati •alti, come essi buttavano alte le loro berrette che ave– vano prima agitato col braccio levato; strilli, grida subitanee, urli rauchi, note alte e sicure come frecciate si i!Ilseguivano e non si trovavano mai, e in basso, si!Ilghiozzi e versacci e lazzi si alterna– vano, per bocca degli stessi cantori, come se volessero dileggiare gli appelli più patetici, con una volgarità antica e rudimentale che fa– oeva sorridere tutto il gruppo dei cantori, e lo stesso prete rideva dal suo tavoli!Ilo, come rit:vovasse ora allegri amici perduti. Il canto finì iill un coro di grida e di lazzi, i!Il tronco, come se avesse spic– cato il ,volo uscendo fuor della finestra e Ìlllfrangendone i vetri. I tre cantori stettero zitti di colpo tremanti dietro la nota quasi ri- BibliotecaGino Bianco

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