Pègaso - anno I - n. 7 - luglio 1929

• G. GA.LLEA.Nr, Oome si cucina il riso 127 to~e ap~lica, con rego~a, la, sua fatica, il suo impegno, metà a, scoprire gli altri, metà, a, coprire sé stesso. Diciamo tutto: nell'apparente fred– ~ezz?' eg~i si co~piace un ~o', o un po' troppo, della sua aria indooi– frabi~e d1 mo~alista agnostico. Questa compiacenza è il «residuo» ro– mantico che mcrina. il suo classicismo. Qui è il suo tasto dolente· il ,,ezzo, la maniera, talora la <i cifra» di uno scrittore spregiudiooto, ~he sembra, non averne. · PIETROPANCRAZI. GrnsEPPE GALLEANI,· Come si cucina il riso. Con una, prefazione di AL– FREDO PANZINI. ~ Hoepli, Milano, 1929. L. 12,50. Ecco un libro sano, finalmente! Neppur Benedetto Croce oserà <)Ontradirmi. Trecento originali preziosissime ricette per cucinare il riso, ·una prefazione di Alfredo Panzini che ci parla, in maniera, tanto poetica e nostalgica della giornata del' riso e d'altre cose ancora e ,sulla copertina una, bella ragazza pa,:ffuta e fresca, che guardandoci 'ri– -dendo ci offre -sopra un piatto fumante un bel risottone alla, milanese. Questa volta non mi verrete a parlare di astrazioni .filosofiche, del -dentro e fuori così ~aro agli acchiappanuvole della, letteratura contem– poranea( è tutta roba che va dentro questa, e in fretta), di romanti– ,cismo, ahimé, di decadentismi, ohibò ! Benché .... benché, badate bene, .non c'è di peggio che voler trova.re , si trova sempre a, questo sudicio mondaccio, oh ! se si trova; il riso, mi potreste maliziosamente insi– -nuare, crescendo in terre basse, poco salubri invero, non profumate ,eerto, e compiacendosi, l'esile pianticella, di diguazzare in acquerugiole torbidette, non escludendo qÙel suo a,spettuccio nevropatico, esangue, -più che al libero vento e sotto i raggi gagliardi del sole lo direste cre– :sciuto e matura.to al lume della, luna, astro decadentissimo per eccel– lenza, come bene voi sapete, romantico fino nella midolla delle ossa, sia per· quel misterioso girar di notte osservando tutto quello che si fa, e sapetl,'I altre.si che quello che si fa la notte non è tutto di buona lega ,e da osservare, ma •soprattutto per quel supino lasciarsi fare a, fettine .come un cetriolo, per modo che ogni qualvolta la guardate ora glie ne ·manca un po' davanti ora, un po' di dietro (un vero scandalo) e se vi .capita, unà notte che tirando il naso in su ce la trovate tutta rimanete ' un quarto d'ora a, bocca spalancata, per lo stupore. Andate un po' a dire .al sole di levargliene un pezzetto e mi .direte poi se ve lo molla. Alfredo Panzini dunque quella mattina, era là, sul ,fiume sacro (il T.evere); non era più inverno,, e non era ancor primavera, ma una ·primavera impubere, quaiche pelolino rado sopra gli alberi; egli do– manda all'ostessa che cosa gli voglia dar da mangiare e quella sorri– ,dendo gli offre del riso; del riso, si, del riso con fagiuoli. L'~stes~a, ride, Panzini.. .. _prima le strizza un occhio ep_{)oiride anche lm .... m -cucina c'è il riso che boUe in pentola .... voi avete bell'e capilo: è la .giornata del riso. · . . · Qui giunti Panzini da malinconico diviene allegro, è logico, allegro Biblioteçà Gino Bianco

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