Pègaso - anno I - n. 7 - luglio 1929

Ricordo di Cesare de Lollis 103 Dalla: cattedra genovese di letterature neolatine il De Lollis passò a q~ella romana di letteratura francese e spagnola, che lasciò poi per: professare novamente le neolatine dopo il ritiro del Monaci. Questi lo volle suo successore, .riconoscendo in lui il suo miglior sangue. Strano : il De Lollis, professore e studioso finissimo di letteratura francese e perfino un po' francese nelle maniere e in certa mondanità dello stile, era poi culturalmente e politicamente un fiero misogallo. An– che costì, forse attraverso il De Sanctis e quel tanto di filosofia hege– liana che si era appropriata, agiva l'eredità meridionale; e non è un caso che i primi scritti di lui, dei tempi della Bizantina, sian di let– teratura tedesca. Comunque, neppure in queste polemiche la fiamma era acre e, come già fu osservato, il sapore misogallico scompariva quasi negli studi puramente letterari. Si lanciava in quelle polemiche con la ingenua baldanza dei: cavalieri antichi. « Quando ci leggeva il Poerna de Mio Cid, - mi scrive dal fondo della sua provincia un suo giovinetto . scolaro, -'-- pareva non scendere da una cattedra ma squillare da una foresta, la sua voce. Non sonò sì terribilmente Orlando. I cantari cavallereschi· spagnoli e francesi erano forse la lettura più adatta per lui, certo la più ricca di emozioni per chi lo ascoltava. Perché fra i tanti discepoli che il De Lollis ebbe nessuno mette in giusta luce questo aspetto eroico cavalleresco, spagnolo in un certo senso, della sua na– tura?» Un conquistatore, sì, ma « ingentilito, - com'egli scriveva di Adelchi, - dalla mano di un dei più squisiti rappresentanti del se– colo XIX.» Di qui, quel suo personalissimo modo di citare i classici, tanto l'uma– nesimo aveva in lui affinato perfino il mondo delle semiazioni, e quelle sue deliziose arguzie dove cosi finemente giocavano filologia e glottologia. Mi scriveva una sua scolara, riferendosi aill'ultima volta che lo vide : « Era la primavera del '27 e l'incontrai nel Cimitero degli Inglesi al Testaccio. Veniva su pel vialetto, lentamente, con un libro chiuso in mano. Io, per non disturbarlo, feci per nascondermi dietro a, un pino. Ma egli se n'accorse e m'apostrofò cordialmente: Lalage, io so qual .~ogno .... » Nella redazione della Cultura, - povera redai.ione che era come una tenda di pastori nomadi, ora piantata nel retrobottega d'un libraio ora tra il rombo delle· macchine e gli acri odori d'una tipo– grafia,' - era un gusto assistere alla metamorfosi dei nostri nomi. A Bruno Migliorini non rivolgeva la parola se non con questo vo– cativo plautinamente arcaico: Meliorine opt•u,ne, a cui faceva riscontro quello diretto a .Salvatore Frascino : Frascinule pessume ! Io ero greciz– zato immancabilmente, e nel mio esemplare del saggio .sull' Aleardi poe~ dell'arte per l'arte, - ripubhlicato ora nel volume laterziano, - leggo con dolce tristezza : ·up cpi):i:cfr<p Teoµnatcp._... . . Vita ricca e generosa, ma certo non tutta felice. Disdegnoso del vile successo non ambiva il plauso che dagli spiriti aristocraticamente con– cordi. È forse neppure quel plutarchismo che aveva e;editato dalla tradizione meridionale e portato alla sua più alta espress10ne bastava a dargli la pienezza del cuore. Nel suo tac~uino_ di ~uerra. alla d~ta 7 gennaio 1918 si leggono queste parole scritte m un ?ra d1 ~cascia– mento: « ~ii sento inutile, io che ho sempre fatto le prime part1. » Re- BibliotecaGino Bianco

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