Pègaso - anno I - n. 7 - luglio 1929

Ricordo di Cesare de Lollis _99 nella leggenda e nella storia (1923), quattro Saggi riuniti sotto il titolo Cervantes reazionario (1924) e un volumetto di vittoriose polemiche co– lombiane, Ohi cerca trova, ovverosia Colui che cercò• l'Asia ·e trovò l'America (1925), mentre Ì'editore Vallecchi lanciava l'opuscolo mòschet.:– tiere Orusca in fermento (1922). È da sperare che in uno o due volumi si P?ssario racc?gliere le altre pagine disperse, gli studi danteschi, quelli di letteratura tedesca, altri di letteratura spagnola e francese tra cui fondamentali i due dedicati a Flaubert e a Baudelaire nell'ooc~ione del comune centenario (Nuova Anto?ogia, 1921). Bi avrebbero in tutto due– mila pagine circa, il meglio di quel ch'egli scrisse. Qualcuno osserverà che la mole è esigua, per un uomo· così larga– mente colto com'era il De Lollis, portato per di più da natura a con– versare con un pubblico non di soli specialisti ed eruditi. Ma chi osservi meglio, proprio nella qualità della.sua conversazione troverà la spie– gazione 'di questa esiguità. La parola del De Lollis passa dalla ·rude energia all'eleganza· mondana, si colora d'inflessioni impreviste; in lui si accompagnano e talora contrastano la vivacità e la meditazione, il bisogno di agire e, il diuturno travaglio della vita interiore. Di qui il suo parco scrivere. « A noi, - affermava nel gennaio 1907 stendendo il pro-· gramma della rinnovata Oultura, -- piace la 'verità nell'espression~ di– retta, tireve, rude,, ch'è la sola che le convenga. » Parrebbe, in contrasto con la squisita sinuosità di-un ,Sll,inte-Beuve, una br'avazzata alla Barbey d' Aurevilly, ed era invece dirittura a\la_ De Sanctis. Era la negazione di ogni dilettantismo, lavoro in profondità; era, per usare altre parole sue, la cura di schivare ciò « che emerge dagli strati superiori della nostra coseienza, così vicini ai· nostri orecchi, così socia.li , cioè cosi poco nostri>>; era la riconquista di sé, il ritrovamento di quell'io che bisogna andàre a cercare, « con un lavoro da palombaro, nell'ultimo fondo della nostra coscienza, là dove non lo raggiunge il brusio degli strati supe– riori, solo illusoriamente nostri. » Ed era anche, per lui, il solo mezzo di comunicare efficacemente col pubblico: a .cui egli pensava che giovi offrire, per innalzarlo, non già una produzione stracca o volgarizzata, ma il fiore della propria attività. . La sua critica ha un caratt~re ben suo. Egli sembra armonizzaf.e in sé caratteri, nonché diversi, opposti: scopre la poesia con lo stesso impeto istintivo con cui si scopre una preda; ne indaga i rapporti con ·1a storia della cultura con scaltrezza di filologo; ne rivela il valore eterno con umanesimo sereno, alla Goethe. La cultura non soffocò in lui mai la vita. E nessuno penserebbe a ritrarre questo critico come Metsys i,-itrasse Erasmo, sullo sfondo d'una parete di legno fasciata di libri, quasi una scatola di quercia o d'abete, senza lume di cielo e rallegratura. di verde. Si vedeva, sì, ore e ore nella sala delle riviste della Nazionale, tra cataste di libri, ma lo studioso della Nazionale era fedele alla sua. modesta seggiola di galleria, là a sinistra del palco reale, a ogni con– certo dell'Augusteo, né avrebbe per nessuna ragione rinunziato a.Ue gite primaverili nei Castelli romani, donde ritornava carico di fiori selvaggi, né alle sue care escursioni montane, in Germania o in Alto Adige. Egli affermava in sede teorica, che la sana critica dinanzi alla creazione deve dim~nticare il creatore, -vale a dire che la poesia, in: ibliotecaGino Bianco

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