Pègaso - anno I - n. 3 - marzo 1929

316 F. M. Martini Collegiali proprio· nòi due, in quella stanza d'ospedale: colle– giali all'infermeria del convitto. E si sentiva ogni tanto oscillare un impossibile tu sotto il lei con il quale continuavamo. a tenere fra noi la debita distanza : di nemici. Una volta ci misero in subbuglio la stanza prima di giorno, perché era stato annunciato il passaggio del Re in quella zona del fronte e poteva darsi che il Re intendesse visitare l'ospedale. Ci avevano destinato come infermiere un [Pacifico romagnolo ; e a costui avevano fatto credere che io fossi qualcuno. Egli quindi badava a mettere tutto in bell'ordine, perché secondo lui era im– possibile che 'il Re visit:;i,sse l'osipedale e non chiedesse di entrare nella stanza di un ferito di riguardo : ben rimboccate le lenzuola al sommo del letto, una bella coltre a frange, .scovata chi sa dove, al posto della coperta militare, e, tolti dalla cassetta d'ordinanza e messi in pila sul comodino, quei tre o quattro libri che mi ero portato in trincea, come si conviene accanto al letto di uno scrittore. Si affannava l'infermiere perché tutto fosse al suo posto in tempo, e raccontava intanto, in un gergo che l'austriaco non riu– sciva a comprendere, d'avere già veduto il Re al suo paese, un giorno che l'automobile reale si era fermata alla ![)Orta del Muni– cipio ; ma il mio vicino non badava che a me, e in quel suo sguardo ansioso e smarrito ad un tempo, si leggeva che la certezza di quella visita, per la quale egli era già entrato in una sorta di estasi silen– ziosa, come se non si trattasse del Re del nemico, ma di un suo re, di un re dei suoi sogni di ragazzo, gli veniva soltanto da me, dalla vicinanza del mio letto al suo. " Avvampavo d'orgoglio e tacevo: finché il silenzio non fu rotto da una sua ingenua domanda. - Lo conosce, il Re, lei ? - Si, lo conosco. Sono stato presentato a Sua Maestà a Roma. Sono anche andato a Corte. Ho parlato tre volte con il Re .... Silenzio, di nuovo. Poiché io conosco il Re, è certo che--il Re entrerà nella nostra stanza. Per quanto lustrate e ravviate dalla mano dell'infermiere, le cose intorno a noi sba'digliano anc6ra la sonnolenza delle prime ore del mattino ; ma al nostro pensiero (anche al mio, si) la stanza s'è già tutta accesa d'un bagliore di galloni d'oro, che neppure il grigio della divisa di guerra riesce a soffocare, e riempita d'una maestosa presenza. Merito mio; e merito mio, se il Re, doiPOavere stretta la mia mano, chiederà no– tizie dell'ufficiale nemico, ferito in un combattimento tra la mon– tagna e il cielo. Sono ingigantito agli occhi del mio vicino di letto. Quand'ecco un trepestio, insolito iPerché stranamente soffocàto,, ci giu:qge di là dalla. porta. Parole sommesse; passi di gen,te che ì BibliotecaGino Bianco

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