Pègaso - anno I - n. 3 - marzo 1929

A. P A:NZINT, Le Ope-ree i. Giorni di ESIODO 359 farinata di grano cotta nel latte, caprettini teneri e carne di vitella che brada pascolò nelle selve e partorito ancora non abbia. Allora è bello sedere all'ombria sazio il cuore di cibo, presso una fontana di pura acqu11,perenne che dolce mormorando va. » Prosa perfetta, di misura di tono di accordi. Perché Panzini, traducendo, guarda, sì, al greco, ma più guarda dentro di sé; che è l'unica maniera di tradurre, cioè di capire e di interpretare. Lamenta Esiodo la età trista del ferro; e dice : « E allora dall'ampia terra, abbandonando gli uomini e con le bianche ali coprendo la bella persona, il Pudore e la Giustizia ritorneranno su nel– l'Olimpo tra il coro dei Numi. Soltanto il grave dolore resterà agli uomini mortali, e scampo al male non vi sarà. >> Esiodo non dice ali ma . ' vesti o veli, e l'imagine più compiuta di quel bianco volare è di Panzini; _ e piace, come sono suoi e piacciono tanti altri compimenti e movimenti e scorci qua e là. Di dove è venuta a Panzini questa cadenza del periodare che qui forse è più sensibile che altrove, ma che ritroviamo eguale, più o meno celata o manifesta, negli altri suoi scritti, e che è un segno , netto del suo stile? Gli è venuta dal gran Maestro, il quale ci rintronava sempre le orecchie che bisogna leggere i classici e solo i classici; e a me un giorno disse, restituendomi certo lavoro che gli avevo scritto per la scuola, e parve gran lode, « Questi romagnoli scrivon meglio de' To– scani» ? Anche da lui, certo, ·gli è venuta. M:a·più gli è venuta da un altro, che lo stes!,o Panzini rammenta qui nella prefazione '. da Francesco , ·Acri. Bisogna rileggere dell'Acri non tanto le sue trad11zioni da Platone quanto un suo volumetto intitolato Amore, J)olore, Fede. Sono scritture brevi, la più parte elogi di persone morte, .grandi e piccole, o di col– leghi suoi della università bolognese, Gandino Brizio Turrini Oiacéio, o di amici e parenti e familiari della sua terra lontana. Rileggo, per ès., dall.'elogio di Oavallotti: « Egli poeta e studioso dei Greci immaginando, come Eraclito, che un fanciullo gittando suoi dadi le vite e le morti degli infiniti mondi giocasse, la vita sua giocava tutti i dì. Ma la giocò anche, come fanciullo incauto, su un pezzo di lama, e tante volte che in ultimo a codesto gioco perdette. » E dal compianto della sua sorella Ma– ria: « Avea animo così fatto che non intendo fo medesimo, il quale fui suo fratello. Ancoraché lieta per suo costume, alcune volte le veniva ma– linconia: la quale dalla natura sua procedeva, e non da conoscimento che avesse. E ne' di quieti di autunno, quando fatta era già la sera, qi.1ella cotale malinconia venendo, sola, con un figlioletto in collo, passeggiava per lo verone, guardando le nubi che le passavano davanti, e i lontani lumi e là silente campagna.» E tutti questi morti, maggiori e minori, sono' da lui come composti in una eguale aura di pace; e codestà aura è come ventilata su loro da quell'antico stile, che a principio pare imita– zione artificiosa di scrittori del Trecento, del beato Cavalca del Novellino del Passavanti, e poi, a leggere, il senso dell'artificio cade, e rimane solo dinanzi a noi una prosa ferma pacata facile, un poco triste, nostalgica e malinconica, che è lo specchio di un'anima singolare, remota dal pre– sente, lontana negli anni, negli affetti e nei desideri. Molte cose e modi del Panzini derivano da questo vecchio maestro; e quel suo senso nostal– gico e malinconico del pas_sato si veste, anche in lui, di antico stile. Si capisce, con tante cose in più e diverse, con l'ironia e con l'amarezza che s·ibliotecaGino Bianco

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