l’ordine civile - anno I - n. 2 - 10 luglio 1959

l'ordine civile E' possibile eparare la civiltà umana da Dio? E' possibile separarla ormai dal Cristianesimo? E quale può e deve essere un rapporto libero e reale della storia dell'uomo? Tutti ormai sappiamo con istintiva chiarezza che le parole della religione e della Fede possono coprire lo scetticismo, l'ipocrisia, il ci– ni mo: non è certo una orta di « lip service >> alla religione che può oggi ,salvarci. Un certo tipo di religione esteriore, pri- , va di autentica fede, può offrire un pericolossissimo ingredien- te al conformismo. Ciò che non induce veramente sostanzialmente a Dio non conduce alla vera libertà, come ciò che non nutre veramente non toglie la fame. Dio solo può dare all'uomo una vera vita interiore e liberarlo dalla solitudine, dallo sconforto, dalla paura e dalla disperazione. La cultura e la civiltà possono essere a-iu·to a questo. Uno dei più grandi alleati del disordine è un certo ·purismo, di -de– nvazrnne protestantica, che intende ogni giudizio, ogm affer- • pag. 3 mazione, ogni preoccupazione di apologia o peggio di difesa del costume come una violazione -del santuario deUa coscien– za, anche se questo è un santuario abbandonato, cttpo e vuoto. oi non neghiamo che ritrovare un visibile e reale rap– porto della ci viltà con la religione, con il Cristianesimo si,a un nuovo e difficile problema; un problema ·che comporta grandi mutamenti sul piano della filosofia, della politica, ,del– l'arte (nel senso cattolico) nella stessa teologia: un problema che ci ripropone la comprensione della genesi della crisi pro– testantica e moderna e delle ragioni di essa: un problema che comporta una grande crescita dei cristi-ani nella comprensione della Verità ,Cattolica, in un nuovo grado di pienezza e di universalità. Ma sappiamo anche che questo è poss·ihile e che Dio non nega nulla alla speranza. Sappiamo che il prohlema ha .una soluzione e che questa può essere trovata. • La secessione operaia E' stato -d-etto, a proposito di nostri recenti articoli, che, secondo noi, la crisi della società moderna consisterebbe sol– tanto nella <e secessione » di uua classe, la quale avrebbe for– mato una specie di sotto coll~ttività deviante, con un sistema di valori contrapposto a quello della più grande società. Ci si oppone che il problema è più yasto, perché « la disintegra– zione », o « malintegrazione », della società nostra sarebbe tale che altre sottocollettività devianti esisterebbero - e an– cora più frequenti sarebbero i casi di-comportamento deviante non organizzato. E per descrivere questa situazione si usa il termine « anomia » (nomos, legge, anomia, mancanza di leg– ge); il termine ritrovato da Durkheim viene in questo caso impiegato al servizio dell'analisi macrologica, per indicare gli effetti della di integrazione, o malintegrazione del sistema so– ciale: « gli individui perdono ogni senso di attaccamento alla società », per usare le parole di Mac Iver. I nostri interlocu– tori favorevoli alla tesi della « crisi generale » si ricollegano ad un filone principale della sociologia americana, che spiega la pre ente di integrazione, o malintegrazione, sociale soprat– tutto con il rapido sviluppo numeriéo della popolazione, il rapido processo tecnologico, il rapido e disordinato inurba– mento degli ultimi cent'anni; i piccoli gruppi, vicinato, fa– miglia, quartiere, avrebbero perso rapidamente il loro potere di .controllo: gli uomini sarebbero ora soli, troppo soli, in Iapporti reciproci solo formali, non veramente umani; ragion per cui volentieri i nostri interlocutori parlano di « atomi• smo », termine che manca di efficacia descrittiva, anche per• ché richiama la potenza più di tnittiva ciel nostro tempo. In conclu-ione, la grande città industriale, da cui Simmel atten– deva la vera libertà per gli uomini, avrebbe in realtà pro– dotto uno stato di isolamento totale cli fronte alla vita, che l'uomo, animale sociale e biso.gnoso cli continuo sostegno ,dei -uoi imili, non ha potuto reggere, precipitanto nell'insicurez– za psicologica più estenuante. La « crisi generale » deriverebbe dunque, dal fatto che le strutture ociali non hanno « seguito » gli avvenimenti degli ultimi cent'anni. Que ta anali i generale, del resto tutt'altro che nuova, non contraddice la nostra, ma la comprende, e ci trova grosso modo consenzienti. Semmai vorremmo che più spesso si ri– corda se come tante interessanti con iderazioni eziologiche non dispen ino da una precisa definizione del concetto di disin– tegrazione che sta alla base del discorso. E penso che la mag- di Luciano Cavalli gior parte degli studiosi moderni della società, da Pareto e Durkheim sino a Mannheim ed a Parsons, sarebbero d'accordo che si ha disintegrazione sociale quando si disintegrano i sistemi di valori che tengono unita una società, permettendo ai uoi membri di avere sicure aspettazioni reciproche e di svolgere insieme un'azione comune. In questo senso Mannheim, sostenitore della « cns1 gene– rale», che anch'egli diagnostica nei termini descritti all'inizio cli questo articolo, sostiene che il vero fondamento cli una so– cietà è una comune « religione », usando questo termine in quello che sembra a lui il significato originario ( « re-ligere, collegare qualunque cosa facciate a dei valori comuni »). Per– ché, come Cristo stesso ebbe a dire, « un regno divi o in sè

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