l'ordine civile - anno I - n. 1 - 25 giugno 1959

bi l'ordine civile famosa opera teatrale cli Sartre, « Le cliable et le bon Dieu », il padre Blanchet non insorge radicalmente contro cli essa, ma si limita a condannarla mutuando concetti e stile dalla critica militante: ed è appunto per questo che alla critica militante e solo ad essa egli porta il contributo della sua vivace intelligenza. Che poi tale contributo possa ritenersi esemplare, e non esaurito nelle doti personali cli criticç, bril– lante, è tutto un altro discorso, che sarà neces• sario sviluppare in futuro. p AOLOGONNELLI NABOKOV, Lolita, Monclaclori, 1959. -L'irritazione legittima ciel lettore cli un li– bro come questa "Lolita » cli Vlaclimir Nabo– kov non è soltanto una istintiva reazione alla prolungata insistenza sugli accidenti cli una passione che non appartiene alla generalità de– gli uomini. E' qualche cosa cli più profondo: sembra piuttosto la reazione a un saggio della mediocrità contemporanea, del carattere artifi– cioso e meccanico che assumono persino le pas• sioni in un mondo che sembra sempre più de– stinato al vomito di Dio. Il quale, come si ri– corderà, non tanto ha promesso di vomitare gli sporcaccioni, quanto i tiepidi. L'amore di un quarantenne per una ragazzina semipubere, è, diciamo così, il canovaccio di questo dramma americano che a noi giunge un po' isolato, non inserito cioè in una tradizione letteraria, ma piuttosto come il [rutto di un ospite, di un D. P. (displaced person) della rivoluzione d'Ottobre approdato sul bagnasciu– ga della civiltà americana e dal cui contatto con essa è derivato questo singolare prodotto. La prima reazione di un temperamento sano di fronte all'amore di un uomo maturo per una giovanissima, è quella della saggezza popolare. esattamente agli antipodi dal libro che abbia– mo letto. Mi viene in mente il proverbio che Bacchelli ricorda a proposito di un personaggio ciel suo libro più famoso: « una ruota venti e l'altra quaranta, il barroccio s'avvia che in– canta. Trenta e cinquanta la ruota s'incanta: una si sfila e l'altra si schianta ». ,L'irritazione nasce quando si vuol mischiare questa verità popolare fatta di saggezza casa– linga, domestica, coniugale, con una passione dalle radici infantili, probabile delizia di uno psicanalista, e perciò morbosa; quando, partita per la tangente cli una deviazione anormale del– l'uomo che diviene vittima della sua morbosa tendenza, questa passione pretende di rientra– re nella norma per il rotto della cuffia, come amore nel senso corrente della letteratura ro– mantica, cioè come attaccamento ad una e ad nna sola persona, anche quando questa per la legge ferrea del tempo, ha cessato di essere nel. le condizioni fisiche adatte per accendere la passione. Per misurare la differenza cli un mondo cor– rotto che tuttavia è alla presenza di Dio, e cli un mondo corrotto che si è liberato cli questa incomoda presenza, possiamo confrontare su un piano naturalmente extra letterario, la con– fessione di Stavroghin di Dostojewskij e la confessione cli questo Humbert Humbert, poi– chè tutto il romanzo non è che una lunga con– fessione del personaggio in attesa della sentenza per avere ucciso l'uomo che ad un certo mo– mento gli ha strappato l'oggetto della propria passione. Lo sforzo che si manifesta in questa confes– sione non è affatto quello della ribellione, ma al contrario quello di catalogare razionalmente le proprie reazioni umane e animalesche, con una rigida proporzione del mezzo al fine, cal– colata sino allo scrupolo e alla quale la sorte non può mancare di offrire il suo appoggio, data la dedizione assoluta con cui il fine viene perseguito, sia pure nell'ordine del male. In che misura la morale di questa storia si può considerare rappresentativa del modo di pensare contemporaneo? Proprio in quanto es– sa non si misura ad una norma ma tende ad affermare soltanto la coerenza del sistema che nasce esclusivamente dalla esperienza. La morale è soltanto in questa coerenza. La sostanza di questa morale può esser rias– sunta abbastanza fedelmente da una {rase che è contenuta in una prefazione attribuita ad una specie di esecutore testamentario del protago– nista che risulta premorto alla condanna per una trombo"i alle coronarie: " L"estensore cli questo commento - si legge nella prefazione - prega di essere scusato se ripete ciò che ha sostenuto più volte nei propri libri e in confe– renze, e cioè che il termine "offensivo" è non cli rado soltanto un sinonimo cli "inconsueto"; una grande opera d'arte, inutile dirlo, è sem– pre originale, e pertanto, per la sua stessa natura dovrebbe costituire una sorpresa più • o meno scandalosa ». La singolarità di questa affermazione non sta nel suo assunto in quanto pretende di defi– nire ciò che è offensivo o non offensivo sul ter– reno della morale, ma nel fatto che se ne de– duce quasi un canone estetico. Con questo sforzo cli rivalutazione letteraria della avventura ciel proprio personaggio si com– pleta ( in una sorta di estetismo che non voglia– mo definire dannunziano, ma che certo è deca– dente) il cerchio, per cui, in fondo, c-iò che si conosce come fuori della norma, pretende tut– tavia una giustificazione: l'uomo non ha altra materia sotto le mani che quella dei propri vi– zi, ordinari o straordinari che siano, ma non sembra aver tanto coraggio per sostenere sino in fondo la propria posizione ed è come la maggior parte dei mediocri, in cerca cli una giustificazione. Così dalla prima esperienza amorosa del ragazzo dodicenne, interrotta in modo brusco e macchinoso, si sviluppa il meccanismo psichi– co cli cui per un certo tempo si conserva il controllo esterno. Il meccanismo esplode però nel momento determinato e a questo punto il raggiungimento dello scopo diviene la legge .de– terminante cle1l'azione. Quando sopraggiunge l'appagamento, in modo che elimina qualsiasi scrupolo residuato delle incrostazioni sociali, la passione vuole riprendere un suo corso nor– male: ergo la gelosia e successivamente lo strazio pungente, tristissimo, dell'abbandono, fino al grottesco finale del ritrovamento e -rlel delitto. E' vero che il signor Humbert Humbert non è mai un « eroe" simpatico, non riesce ad es– serlo neppure nel momento più pungente e let– terariamente meno gratuito, della ricerca spa– smodica della propria ragazza fuggita con un altro uomo. Ma in sostanza egli è un uomo sen– za conflitti, al cli là di quelli che sono gli osta– coli naturali e sociali al raggiungimento della sua soddisfazione. Egli non ha altra preoccupazione, allo stesso modo che l'autore non sembra avere altra preoc– cupazione che di difendere il suo romanzo dagli ostacoli che possono frapporvi i ben pensanti che per il solo fatto di opporsi alla sua opera vengono sottilmente tacciati di ipocrisia. P. A. * PAKISE, Amore e fervore, Garzanti, 1959. « Goffredo Parise ha ripreso in Amore e fer– vore, sollo un certo angolo, i temi che appariva. no anche ne Il prete bello, uno dei « bestsel– lers » italiani, e che sono poi i temi a cui è più sensibile, muovendo dalla descrizione spie- pag. 23 tata dei vizi di un cattolicesimo soffocato nella bigotteria o ifermentante in una pigra e ostinala follia. ... La provincia veneta, dai colori morbidi e ambigui, diventa, eia indicazione geografica, categoria morale. " Queste parole, che si leggono nell'interno della copertina dell'ultimo romanzo di Parise, che esce in questi giorni in libreria, cold.en – sano i motivi che dovrebbero indurre a prender in mano il libro, a sfogliarlo con avida curiosi– tà, a leggervi dentro una condanna alla qua– le Ei è già consenzienti, consapevolmente o no. Apriamo il libro, ma non vi troveremo nulla di tulio questo. Pe1·sonaggi squallidi, ambienti grigi, temi erotici trattati con morbosità e scar– so nerbo. Come mai intorno ad un'opera lette– raria è possibile giocare in modo così equivo– co? Come è possibile suggerire una presa di posizione morale, confondendola con l'impegno narrativo, vale a dire con il tentativo cli cono– scenza cli un ordine esistenziale? Per rispon– dere, una prima cosa da accertare è se i .fini c-he Parise si propone siano o no di carallere moralistico. Si può rispondere affermativamente: tutti «li elementi della scrittura cli Parise tendono O a costruire un racconto eia « moralista ": la trama conclusa e -circolare, l'astrazione dalla cosa, il valore spesso simbolico di fatti e di personag– gi. Ma la «moralità» non arriva ad esistere nella sua pienezza: alla rnclice cli tutto ciò è una cattiva interpretazione della distinzione tra moralità e riuscita estetica, e della lezione data a questo proposito dai più grandi e signi– ficativi narratori ciel nostro tempo. Se ben ricordiamo, il secondo romanzo cli questo autore, oggi trentenne («La grande vacanza », edito nel 1953), fu presentato come un lavoro che non cedeva alla tentazione della satira morale o cli costume, per mantenersi in un ambito tutto narrativo, di fantasia. Certe idee, certe distinzioni. dunque, volevano dire qualche cosa già sei anni fa: la lezione idea– listica veniva messa in pratica, si accettava cioè di unificare il vero e il fatto, e di sottrarli entrambi alla sfera morale; quest'ultima poi veniva considerata priva della libertà cli cui fruisce la sfera cosiddetta fantastica, nella quale si muove un romanzo. In realtà, difficilmente si potrebbero pensare i racconti lunghi di Pari. se ( chiamiamoli così. perchè tali sono, più che romanzi veri e propri) non appoggiati ad una vicenda carica di significati esemplari. Special. mente la trama e certe punte stilistiche de " Il fidanzamento ll (l'opera ciel 1956 che pre– cedeva quest'ultima) sono inspiegabili senza una precisa intenzione cli indagine di costume. Il consenso che Parise cerca nel pubblico consiste quasi in una complicità sottile, portata sul piano del mondo intimo di passioni freu– dianamente sepolte e malamente confessabili .. Pochi minori conoscono bene come .lui il modo di creare un gioco cli corresponsa·bilità: il suo raccontare infatti è pieno cli chiaroscuri che si richiamano sicuramente allo stile narrativo in voga in Italia negli anni del fascismo e della guerra, a « Totò il buono» cli Zavattini, o alle opere meno riuscite cli Alvaro. E' indi– cativa; a questo proposito, l'irruzione che i personaggi e i fatti simbolici compiono in una trama tanto scarna e così radicalmente banale. Ecco ad esempio la reazione cli Marcello, il pro– tagonista di « Amore e fervore», al vedere per la prima volta la Ciriaci, la donna cioè che– lo porterà sulla via della perdizione, facendo crollare le sue bene intenzionate costruzioni mentali di snervato maniaco religioso. La ra– gazza, prepotente nella sua femminile animali-– là è seduta sul prato cli un parco, dove Marcel– lo è anelato a coltivare la sua solitudine e i suoi comodi pensieri misticheggianti: Marcello la vede, e scatta in lui, quasi meccanicamente, il riflesso della preghiera salvatrice. Una situa– zione del genere si trova, è il caso di dirlo.

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