Nuova Repubblica - anno V - n. 42 - 20 ottobre 1957

2 I I'fALIA POLITICA I "RUSCIO\l EI SOCIIILISTI L A LETTERA di Krusciov ai partiti socialisti eu– ropf!i sulla tensione nel Medio Oriente fa parte, com'è facile comprendere, della grande offensiva psicologica in cui i1 Cremlino è attualmente impegnato per rendere possibile una trattativa sul disarmo con gli Stati Uniti in condizioni di effettiva parità diplo– matica. Il satellite artificiale e la posizione di van– taggio in cui si trova, almeno in questa fase, la Russia nella corsa al missile intercontinentale hanno fatto ca– dere, come è già stato autorevolmente rivelato, il com– plesso d'inferiorità, industriale e militare, che ha pesato per decenni sulla politica estera dell'Unione Sovietica, creando il pericolo che, in contrapposto, si determini un'eccessiva euforia, se vogliamo un complesso di su– periorità, che non sembrerebbe giustificato dalla effet– tiva rea1tà dei rapporti di forza internazionali. E' chiaro che in questa prospettiva, valendosi di metodi propagandistici che fanno parte de1 consueto arsenale comunista, Krusciov tenta di esercitare ogni forma di pressioni indirette per spostare a suo van– taggio la situazione e per determinare all'interno del blocco contrapposto delle pressioni che affrettino e ma– tm·ino le condizioni per un'intesa generale di disarmo, a condizioni ac"Cettabili dall'URSS. Ma è dubbio che codesti metodi siano efficaci, data la psicologia oc– cidentale, e considerate le esperienze del passato. Come il massiccio discorso di Krusciov alJa vigilia de!le ele– zioni tedesche ha sicuramente favorito il trionfo elet– torale di Adenauer, così potrebbe avvenire che ini– ziative come quella di cui stiamo parlando, dirette ad esercitare pressioni all'interno del blocco militare con– trapposto, siano invece atte a provocare effetti con– trari, rendendo obiettivamente difficile, alle forze che operano per la distensione, di avanzare delle proposte che potrebbero appqrire in qualche modo suggerite, sia pure indirettamente, dalla politica sovietica. Si veda, per convincersene, la prudenza della risposta interlo– cutoria del partito laburista 1 che tradisce l'evidente im– barazzo in cui i socialisti britannici si sono trovati di fronte all'iniziativa di Krusciov. Ma quel che qui interessa di più notare è la ri– sposta del PSI: .risposta la cui prontezza non può es– sere criticabile se non da chi sia in malafede, poichè se non si conse.nte al PSI di portare le sue convinzioni all'interno dell'Internazionale Socialista, non si può nello stesso tempo criticarlo per il fatto che le esprima libe– ramente, fuori di essa. Ci sia concesSo invece di fare qualche osservazione di fol}-do a questa risposta, perchè essa è un documento di un certo rilievo di una poli– tica che tenta, fra mille difficoltà, di mantenere aperto il dialogo nel mondo e di determinare una posizione nuova d'iniziativa europea. ll punto discutibile, e che esprime una volontà di L' l'l'ALIA A SAN MAUINO compiacenza che indebolisce il senso di tutta la re~ plica, è quello che si riferisce al giudizio dei socia– listi italiani sulla crisi internazionale dell'anno scorso. Che il PSI abbia condannato <( nella maniera più ferma )> l'aggressione anglo-francese in Egitto è un dato di fatto incontrovertibile; ma che il PSI abbia solo « as– sunto una posizione critica nei confronti degli avve– nimenti ungheresi e dell'intervento sovietico» non è 1 vS sufficiente né vero: il PSI prese posizione molto netta contro quei fatti, e si può dire che proprio in– torno a tale atteggiamento si sia manifestata la svolta politica del PSI culminata nel congresso di Venezia. Abbiamo ancora nelle orecchie le parole di condanna pronunciate al riguardo dall'on. Nenni a Venezia, e non ci pare che esse possano essere interpretate come una 'posizione critica'. Questa espressione potrebbe adat– tarsi all'atteggiamento assunto in quella occasione, p. es., dall'on. Togliatti, col noto intervento su Nuovi Argo– me-nti; ma codesta espressione non può indicare, se non in base a un non felice compromesso interno, la posizione assunta dal PSI. La forza -di una po3izione come quella del PSI, diretta alla creazione di una piattaforma nuova per la politica internazionale del– l'Europa, dipende evidentemente dalla sua capacità di impostarla al di fuori di compiacenze o di concessioni verso l'una o verso l'altra parte. Anche nella successiva parte del documento è fa– cile rilevare analoghe deficienze. Che in Siria si stiano in questo momento fronteggiando, come è accaduto nel passato in tanti altri campi sperimentali, i due blocchi, è un dato di fatto; che però sia facile attribuire ad uno dei due la maggiore responsabilità della situazione, a noi non sembra. Ora, appare implicita nel documento del PSI la tendenza a riconoscere piuttosto negli Stati Uniti e nella dottrina Eisenhower che nella parte op– posta la responsabil~tà della situazione. Ci siamo espressi a suo tempo molto chiaramente sul giudizio da dare verso la dottrina Eisenhower, e verso ogni altra dot• trina del genere: ma non ci sembra sia il caso di dimenticare che ancbe la Russia ha le sue dottrine Eisenhower, sia pure se - per ragioni tattiche certa– mente apprezzabili - non le sbandiera nello stesso mo®: E vorremmo ricordare ai compagni del PSI che un' giudizio pregiudiziale sulla mag'.giore pericolosità della pressione americana rispetto a quella sovietica può esporre il partito stesso. a non piacevoli risvegli. Poichè il resto del documento, che si fonda sull'ini– ziativa socialista per la pace, ci trova consenzienti, ci sembra francamente pericoloso che questa iniziativa, a cui il PSI può dare un contributo importante, venga offuscata da posizioni non del tutto chiare sul suo ca– rattere reale e sulla volontà_effettiva che la sostiene. VICE BASSO \TOLTAGGIO L 7 ITAUA, ha SCf'littoI'" Economist ", ha (( voluto fare la sua prova di pol:itica di potenza: a basso voltaggio ». Ora che I' 11 aftalire » di San Marjno è terminato, s,i può ben dire che questo commento doveva essere fatto dalla stampa «indipendente» italiana, e non l'ultimo, ma il primo ~iorno. Seguivamo le vicende cli San Marino, prli• ma che sui servizi· ctegli invliati, sulle note delle agenzie straniere. Qualcuna non so– spetta di tenerezze comuniste: I'« A.P. » ad esemplio. Ora, ben prima che il gov-erno 1ita– liano incominciasse a indennlizzare Wanda Osuris e a castigare San Mar1ino, l'A.P. per due, tre, quattro giorni consecutivi, nel « lan– Clio » in lingua ~nglese, denuno:iava sem7>repiù allarmisticamente il « blo~co » italiano a San Manino. La « France Prèsse » fece immedia– tamente eco; e sapemmo così da queste agen– zie che Tambroni era coi!,e Scelba. Infine gl'inviati ital'ian:i hanno incomincfa• to ad ammettere qualche cosa. Tuttavia ab– biamo_dovuto attende.-e il servizio di Cancogni sull' «Espresso», per vedere chiarame:ite ; fattli nelle loro dimension,i; per confermarCli in quanto avevamo sempre r.reduto; che i comu– nisti sammarines 1 i sono appena degli onesti girondini; che ,i socialisti d.imissionarli non era• no che socialdemocratici; che 1i democristiani non avrebhero saputo vrincere che .con i cara– binlieri ital,iani, il denaro italiano, il blocco italiano. Diciamo francamente che è stata fatta una cattiva azione; e che non se ne vede lo scopo. Forse la DC 1italiana vuole esibire un succes– so elettorale? O aveva dei conti da rendere al Vaticano? o si temeva che da San Marino par– Visse qualche tras1111ittentetelev1isiva? Si è cer· calo questo o quel motivo, per capire, almeno, questa sciocca intromissione di un grande pae• se negli affarli di uno minimo. Nessuno ci ha persuaso. Ne siamo rimasti anche p1iùmortJifi. cavi. Possiamo ammettere l'astuzia, non ci persuade la prepotenza inutile e senza scopo. Si dirà che i rapporti fra Italia e San Ma– rino sono talli, che l'intervento diplomatico dell'Italia era inev,itabile. C'è formalmente una parte di v-erità. Ma esso poteva avere una sola forma: quella d 1 i imporre - e vigilare per im– parzialità - nuove elezioni, subito. Era la via dèmocraVica, onorevole, naturale. Non averla seguita è un segno di decadenza democratica, di cui la DC dovrà forse pagare lo scotto I' an· no venturo, alle «politiche». (185) nuova repubblica LA FORZA DEIDEBOLI (continuaz. da pag. 1) Unione Sovietica, sia più facile di prima. Dove vanno ricercate le cause di questo peggiora– mento generale, dunque? Che cosa si deve fare per rico– stituire una situazione internazionale che presenti pro– spettive favorevoli di sviluppo? Quali sono le forze che possono contribuirvi più efficacemente? Non vi è, a nostro giudizio, nessun elemento, nella situazione interna delle due maggiori potenze mondiali, che consenta di spiegare o di giustificare tale peggiora– mento. Il regime di Krusciov continua ad apparire, dal punto di vista dei rapporti internazionali, il migliore che, nelle attuali condizioni, si possa sperare di avere in Russia. Il regime Eisenhower, dopo quasi cinque anni di esperienza politica e diplomatica, dal giorno dell'ele– zione di un presidente repubblicano, dimostra di essere capace di una certa autolimitazione, sul piano interna– zionale, che fino a due o tre anni fa sembrava difficil– mente ottenibile. D'altra parte, la gara militare fra Stati Uniti e Rus– sia, se dovesse proseguire in questo modo, potrebbe a un certo punto comportare rischi suscettibili di mettere in pericolo la pace mondiale. Ma, sul piano immediato, gli uomini di stato delle due parti sembrano consapevo– li del pericolo di uno scontro diretto fra le due maggiori potenze militari del mondo, sebbene siano meno consa– pevoli della reazione a catena che potrebbe conseguire dallo scatenamento di un nuovo conflitto locale, per esempio nel Medio Oriente. Se non si devono ricercare le cause di questa situa– zione peggiorata in una responsabilità diretta, in una azione positiva delle due grandi potenze, dove si devono dunque ricercare? NeUa responsabilità indiretta, a no– stro parere, o meglio nella carenza del senso di respon– sabilità e di indipendenza deHe altre nazioni. Gli sforzi compiuti sporadicamente per dar vita ad una terza posizione, di << non allineamento con i grnndi blocchi di potenze», i conati per- isolare e quindi dividere le due grandi potenze, che sembravano destinati a un certo risultato positivo al tempo dei fatti di Polonia e d'Ungheria, qu'ando si discuteva attorno alla costitu– zione della fascia neutrale, nel periodo in cui le nazioni afro-asiatiche sembravano decise a non lasciarsi coin– volgere nei conflitti fra le grandi potenze, tutti questi sforzi sono ora giunti a un punto morto. E' venuta invece a crearsi, all'interno delle nazioni minori, una situazione di disagio, di sfiducia, di attesa messianica, talvolta, quasi che la pace pos'sa caderci come una manna dalla <( luna rossa » o possa derivare da qual– che sfoggio di bandiere stellate in questa o quella parte del nostro mondo. Si è sviluppata cosl nelle nazioni mi– nori la tendenza alla fuga daVanti alle responsabilità, aggravate dalle recenti scoperte scientifiche sovietiche le quali hanno diffuso in tutte queste nazioni minori un senso d'impotenza davanti agli sforzi richiesti oggi, sul piano economico, come su quello scientifico o strategico, per stare alla pari con le due maggiori potenze mondiali. Mentre conviene ricordare che l'unione di molte na– zioni_ minori crea una forza non solo economica, ma an– che militare e scientifica, che può essere paragonabile a quella delle due maggiori potenze, e che istituzioni quali l'Euratom possono consentire di colmare molti ritardi, ci si deve pure persuadere che la corsa fra le due maggiori potenze mondiali al fine di affermare la supremazia dell'una sull'altra potrà giungere al traguar– do solo il giorno in cui, con la persuasione o con la forza, l'equilibrio politico e territoriale fra i due blocchi sarà stato spezzato a favore dell'uno o dell'altro; solo il giorno in cui, cioè, una o più nazioni minori, cambian– do campo o allineandosi con una dei due campi, avranno modificato in modo irreversibile, a favore di uno dei due blocchi, il rapporto di forze. Ogni atto che, senza spezzare questo equilibrio a favore di uno qualunque dei due blocchi, contribuisca a rendere più diffici1e o più lontana la meta della su– premazia dell'uno sull'altro, è un atto che contribuisce alla pate; ogni atto che, senza aumentare sproporziona– tamente la forza di un blocco, sottragga forze alla sfera d'influenza dell'altro blocco, rende più difficile il loro scontro. D'altra parte, ogni manifestazione collettiva di molte potenze minori, ogni pressione dell'opinione pub– blica mondiale sulle potenze maggiori - purchè non organizzata al fine di giovare a una delle due grandi po– tenze a svantaggio dell'altra -, può avere un'efficacia determinante nel frenare la corsa al riarmo e le velleità espansionistiche delle potenze maggiori. La pace è dunque nelle mani, non solo dei potenti della terra, che controllano l'uso delle armi più mici– diali che l'intelJigenza umana abbia mai inventato, ma anche degli umili e dei deboli, che, per amore o per forza, i potenti cercano di attrarre o di conservare nel proprio campo. Non è vero che l'indipendenza sia solo questione di forza. E' prima di tutto questione di volontà. L'indipen– denza delle nazioni minori, che è la più valida garanzia di pace, dipende dunque molto di più dalla loro volontà di conservarla che dalla mancanza di un'altrui volontà di sopprimerla. Si trova sempre qualcuno a cui fa comodo limitare-. o portarci via la nostra libertà. Ma se chi è debole di– mostra di preferire la propria libertà ad ogni altra cosa, chi è forte esiterà sempre prima di avventurarsi a sop– primerla. Se la libertà è di chi ha la forza, essa è pure di chi ha la volontà. E' la carenza di volontà dei deboli che incita oggi i forti a minacciare la loro libertà, a com– promettere la pace. PAOLO VITTORELLI

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