Nuova Repubblica - anno V - n. 26 - 30 giugno 1957

8· I ITALIA POLl'flCA I DIMENSIONI DIUNA Cl{ISI L A DICHIARAZIONE con la quale il presiden"te Zoli è tornato a presentarsi alla Camera, è di quelle che - come i precedenti atti del suo fantomatico governo - non disonorano un uomo. Zoli ha fatto tecni– camente quanto poteva e doveva: ha indicato delle « prio– rità», e, tra queste, ha incluso un impegno costituzio– nale (Senato), e uno, di qualche ambiguità, ma di seria portata politica: patti agrari. Di qualche ambiguità: non si può negare infatti una parte di ragione all'argomenta– re dei conservatori, che lamentano di vedergli accettare, in materia di giusta causa, l'indicazione della .maggio– ranza parlamentare, senza adottarne una propria. Ciò che i conservatori dicono, per deprecare che Zoli adeI'i– sca, senza volersi compromettere, ad una formula· even– tualmente soverchiante anc'he gli emenda_menti Pastore, abbiamo diritto di rilevare anche noi, con segno rove– s~iato. Il Corriere pensa .che in questo modo Zoli sia il Ker.,enski della rinuncia alla proprietà agraria;. noi gli rimprovereremo di non saperne essere, per così dire, il piccolo Lenin. Ma, quale che sia l'intenzione con la quale si muove la critica, essa non è che parte di una critica più vasta, sulla quale oCcorre soffermarsi, non senza esserci appena sgombrato il terreno da qualche rilievo più contingente su « questo» governo Zoli. E' da appoggiare, è da avversare? Si potrebbe rispon– dere: è da appoggiare in alcuni suoi propositi, eventual– mente da avversare in altri (basti pensare che fra le « priorità >> è la ratifica dei trattati europei, senza nulla di pronto per interpretarli con una liqea di politica eco– nomica). Ma non sarà da passare sotto silenzio l'equi– voco politico al quale la condotta del.la democrazia cri– stiana ha infine acculé il prestdente del consiglio. Se è vero che Gronchi non avrebbe forse potuto, in ultima · anaiisi, che ricusare le dimissioni del.l'unico governo ef– fettuabile (e effettuabile perché già. formato), è anche vero che, confermand0Jo, il presidente della Repubblica ha riesposto Zoli alla figura del velleitar.io , che continua à rigettare nel sentimento, 1 e ad accettare nei fatti, pro– prio quella maggioranza di destra, neofascisti inclusi, che •sappiamo quanto sinceramente gli ripugni. S.i può soggiungere che Gronchi ha, nel tempo stesso, ingiunto a Zoli di qualificarsi nei fatti: speriamo che lo farà. Lo iato, tuttavia, fra quella fiducia, e queste op~re ~ut'ure, rimane. Occorre non lasciarsi sfuggire questa disfatta morale. Ma oçcorre anche interpretarla su un più vasto piano politico. Ed ecco perché la discussione torna jne– vitabilmente ad allargarsi e ad approfondirsi. La questione ormai inevitabile è di sapere se questo scorcio_ di legislatura presenti ancora i caratteri di nor– malità democratica che avremmo, anzi abbiamo, H do– vere di attribuirle. E' ben difficile rispondere affermati– vamente. Checché faccia, il governo Zoli, o qualsiasi altro governo democristiano, vivrebbe sottQ la riserva ·mentale indicata da Fanfani, di <<governo amico»;· la sua maggioranza sarebbe altrettanto equivoca, da chiun– que venisse (ecco perché, rilevata la carenza morale della posizione di Zoli, non si dovrebbe neppure" forma– listicamente indugiarvisi con uno spirito di fanatismo inquisitorio); le sue migliori decisioni sarebbero inficiate da un sospetto elettoralistico ineliminabile. Non illudia– moci neppure sul valore che possano assumere eventuali convergenze socialistico-cattoliche. Dimostrerebbero, cer– to, che cert_e decisioni sono nella logica delle cose, più draconiana delle riserve vaticane o carriste. Ma anche qui, non confondiamo una normalità tecnica, con una pratica, voluta, ponderata capacità di costruttivo com– promesso. L'anormalità della presente situazione deriva dal punto culminante di crisi delle due forze storiche italiane di questo dopoguerra, la forza socialista e la forza cattolica. Se. questo è vero, la crisi di governo, la crisi di vita parlamentare che attraversiamo., è un fatto di proporzioni meno addomesticabili. me~o riducibili, dì quanto sia per apparire a prima vista. Qual'è la crisi della democrazia cristiana? E' quella cui abbiamo altra volta accennato. Partito composito, si. ·dice; ma non in ciò consiste la sua anomalia. Tutti i grandi partiti sono compositi: operai britannici si fanno rappresentare anche dal partito conservatore; i più si– cùri cristiani tedeschi ripongono la loro fiducia in un partito laico cotne il socialista. Non si tratta di questo: si tratta del fatto, che la ricerca della risoluzione unita– ria, che ogni partito deve di continuo riproporsi e rifare, • è bloccata dall'alto, dalle 'direttive vaticane Ad un certo punto, queste impongono i limiti· della ricerca dell'unità e della lotta per l'unità; stahiliscono che non si debbano -cercare certe alleanze, che sono quelle indicate a dar concretezza al programma stesso del partito: gli impe– discono, in breve, di essere una forza politica. :;;criviamo queste parole Con l'amara sere~ità della diagnosi_. Esisterebbe un rimedio? Esisterebbe certamente: co11- sisterebbe, da parte della Chiesa, nella decisione di la– sciare i cattolici militare in qualsiasi partito che non assuma, nel suo programma, di limitarne la libertà di 'insegnamento etico-religioso. In questo caso, i democri– stiani dissenzienti dal programma sociale del partito, se ne scioglier-ebbe.ro, votando e militando sotto altri par– titi~ Ma questa soluzione farebbe perdere alla Chiesa (o {169) ·nuova repubblica STURZO E IL QUIRINALE - Scherzi da prete (Dis. d.i Dino Boschi) a questa sembra) una parte del suo potere politico, che essa ritiene maggiore quando possa disporre di un grosso carrozzone elettorale. Così siamo al punto che la Chiesa preferisce un suo grosso partito che perde via via potere sulle cose, ad una garanzi~ di libertà e di autonomia che le provenga da un libero moto delle coscienze dei catto– lici. Forse la Chiesa si accinge; a non lunga distanza, a per<!_ere più di quanto non si pensi. Pr-onostici a part_e, la crisi"td:emocristiàna è ora a questo punto. Ed è senza al– tenÌ.ative. Quando Fanfani dice che si riserva d.i lavorare per il suo programma massimo quando ·avrà conquistato tutto il potere con una sua maggioranza assoluta, prÒ– nunzia una proposizione politica apparentemente ambi– ziosa, in realtà disperata: disperata, perché è senza alter– native. O vincere tutto, o non fare più nulla. (Poi, sic– come in realtà il nulla non è un'alternativa, si tratterà ancora di fare .qualche cosa: ma è dal '46 che la DC fa qualche cosa, e i. disoccupati italiani restano due milioni). D all'altro lato, la condizione":-de1 partito sociali~ta. Sia~o onesti,. riconosciamo che esso non ha avuto sv1- ·luppi dopo. il congresso _di Venezia. Anche qui: erano possibili tali sviluppi? Crediamo di sì. Il problema post– congressuale era quello di far esprimere agh ex-moran– diani la loro politica, che a Venezia si era tradotta in una pura affermazione aritmetica antinenniana, anche se rivelava, pur solo in questo caso, un suo carattere classista, antielettoralistico, anticompromissorio, anti– pralognanistico. Ora noi non andiamo a .caccia di colpe e di accuse. Ma anche qui, con l'amarezza di una dia– gnosi spiacevole, dobbiamo dire che la traduzione poli– tica di quella congiura aritmetica non ha avuto luogo. Nenni non l'ha forzata; Basso ha fatto qu:3.rito stava in lui per non agevolarla; la sinistra del partito non aveva interes.Se ad esercitare la. minima funzione maieutica. Il risultato è questo avanzare ed arretrare incoerente fra le due possibilità, dell'apertura· a sinistra, e della politica di alternativa; di opposizione e di sorriso allo Zoli; di sfida e di diffida a Fanfani. Di qui il rilievo assunto all'improvviso dai piccoli partiti. Un partito come il liberale a destra, uno come il repubblicano a sinistra, diventano centri attivi, signi– ficativi, condizionanti. Ma che cosa _condi?ionano? Im– pongono determinavi limiti al formalismo politico; non possono, evidentemente, condurre il giuoco. Restano, si dice allora, le estreme. Non appaghiamoci di apparenze. Le destre sono anch'esse dati nominali, e il loro rilievo, ·oggi, deriva appunto e solo dal nomina– lismo della politica dei partiti maggiori. I comunisti re– sistono sulle loro posizioni - dove resistono: le elezioni sarde hanno dato loro torto, in un paese dove il paupe– rismo era tutto a loro vantaggio, dove la struttura di zona depressa era una· specie di polizza d'assicurazione. Ecco perché non vediamo un facile rimedio in nuove ·elezioni,. Avvengano domani, o si effettuino la prossima primavera, la crisi di fondo non sarà, prima d'allora, risolta. Forse solo g"uardando in profondità gli elementi di questa crisi, potrà diventare evidente ai socialisti che essi soli hanno ancora in mano una grande possibilità d'iniziativa; e quale sia la loro responsabilità, e quale· la via, lungo la quale debbono mettersi senza indugio. ALADINO A PROPOSITO Dl BUROCRAZIA SIN VACALE Caro Codi{lnola? ho letto· la lettera clie l'amico Lucini - vfoe segre– tai-io del Sindacato Edll.i. di l\'lila~o della CGIL - ti ha indit'izzato ·a seguito della mia nota stilla « burocrazia sindacale». Ritengo mio dovere non rispondere, in questo mo– mento, nei, termini che la lettera impone. Sono stato riprese le hattative per il rinnovo del conll·atto nazio– nale di lavoro per gli edili, e in quella sede le tre· orga– ni'f.zazioni dei lavoratori banno uno sola esigenza: di es– sere _unite. Il problema in discussione verte infatti non sui rapporti tra lavorato1·i e datori di lavoro, ma sui rapporti tra Je organizzazioni dei lavoratori. Vi è nn aspetto di fondo, però, che da soc~alisti non può essere ignorato. Afferma il Lucini: « Chi scrive è un sociali::;ta, e posso. dare in piena coscienza. l'assicurazione che tutte le que– stioni e le proposte sono state discusse, accettate o re 4 spinte 1 in fraterna e. unanime collabora:.done con i com– pagni comunisti. Così facendo pensiamo di avet· fatto e cli fai-e bene, non· nell'interes8e "della burocrazia sin– dacale e in questo caso della burocnzia comunista" 00,ne tu affermi, ma nell'interesse unico e· reale dei lavo 4 ratori ». Tuttavia, lo stesso Lucini mi dà atto che « il maggior impedim,ento alla formazione del Centro è de– rivato dalle difficoltà emerse dalla nomina della rappre– sentanza. opeeaia nel Consiglio». Non è stato pertanto l'interesse unico e reale dei lavoratori a p1·evalere in quella sede, ma l'interesse delle organizzazionj,· che per me .sono «·apparati». Personalmente ritengo che l'interesse unico e reale dei Javoratori sia espresso da qualche cosa di più _di un assai -limitato rapporto di rappresentanza. La CCIL ha dimenticato che in provincia di Milano prestano la lol'O attività circa 75.000 lavoratori edili, dei quali 20.000 rappresentati dalla CGIL 1 e diciamo pure 10.000 dalle altre dne organizzazioni. C'è una differenza netta di 45.000 lavoratori che hanno il loro interesse da difendere e che versano i contributi. Vogliamo corninciare a pensarci? · Sul punto secondo della. lettera, COffte ho promesso, ri– sponderò in seguito. Al momento opportuno 1 cercherò di dimostrare come in questo caso qualcuno abbia djmen– ticato di tenere in debita considerazione i due fattori « scelta dei tempi» e « sistemi di ·lotta», che ogni sinda.– calista non dovrebbe mai dimenticare quando si tratta di difendere gli interessi sia dei _lavora.tori che della p-ro– Pl'Ìa organizzazione. Dimostrerò come, in questo caso, averli dimenticati abbia rappresentato la n1anc3.ta difesa così _<leSli uni come degli altri. AURO LENCI

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