Nuova Repubblica - anno IV - n. 47 - 18 novembre 1956

2 coHettivo di sicurezza europea, che offra ..anche a Mosca -sufficienti garanzie. "Tutto è legato. Alla ribellione contro ]'jmpero sovietico è seguita quella contro la leadership ame"ricana; per contro, l'int"ervento anglo-francese a Suez ·ha incoraggiato il governo di Mosca a impiegare la forza c0ntro il popolo ungherese. D'altronde, la politica della fl .distensione >> e della « destalinizzazione » ha dimostrato che certi slogans non si possono usare impunemente; per cui oggi non si può più sostenere. che la denuncia cvn– temporanea del patto ·atlantico e· di quello di Vars~via sarebbe a tutto vantaggio dell'Unione Sovietica, essendo il blocco comunista compatto per sua natura, indipenden– temente dall'esistenza o meno di legami diplomatici e militari. Oggi la rivoluzione magiara ha dimostrato che è vero il contrario: che la solidarietà occidentale è, nono– stante tutto, ben più salda proprio perché -:-- e finché - fondata sulla coscienza dei popoli. Occorre quindi esten– dere questa solidarietà hel mondo, sviluppando una po– litica conseguentemente democratica. Con il che si ri– torna alla necessità di svolgere una politica coloniale del tipo di quella laburista in India, cui si accompagna il dovere di riconoscere il governo cinese di Mao e di am– metterlo all'ONU, come conseguenza naturale _del pre– supposto che non è dato a nessuno di ingerirsi negli affari interni altrui (e d'altra parte è interessante notare il comportamento dello stesso. Mao in questi frangenti: egli ha riconosciuto legittime le rivendicazioni ungheresi e polacche all'indipendenza ed all'eguaglianza, ma poi, dopo l'attacco .all'Egitto, ha approvato l'intervento sovie– tico in Ungheria ed ha precisato che il patto di Varsavia deve durare finchè dura il patto atlantico: perchè l'attacco all'Egitto comporta la riconferma di una situazione di guerra fredda che implica l'isolamento della Cina nei confronti del mondo occidentale ed impone àd essa il rafforzamento dei propri legami con l'altro grande blocco mondiale. Per cui si dimostra ancora che una politica autonoma cinese si può avere a patto che si rompano i blocchi contrapposti e si creino così le condizioni perché ciascun paese si sviluppi autonomamente). Da quanto precede, consegue che non si tratta attual– mente di postulare una politica di neutralità, perché non è più solo il caso, ora, di estraniarsi da una guerra e di cercare di impedirla: occorre essei:e attivi ed adoperarsi J)erché si ·concretizzi una nuova organizzazione dei rap– porti internazionali, tale da -garantire. una pace stabile. Egualmente non è sufficiente limitarsi a tale scopo a favorire la costituzione dell'unità europea, perché è indi– sPensabile la partecipazione a quest'opera di nazioni di altri continenti. Non si può risolvere infatti alcuno dei problemi attualmente -urgenti se si affrontano singolar-• mente: occorre vederli tutti ·in un complesso unitario, secondo le linee dei postulati che stanno a fondamento dell'inattuata carta delle Nazioni Unite. In definitiva, sul piano diplomatico occorre, oggi, ridar vigore all'ONU e: ricoridurlo al suo concetto originario ai organizzazione internazionale efficiente, aperta a tutti i p·opoli, in seno alla quale paesi piccoli e grandi siano posti in' grado di adempiere alle loro funzioni specifiche, favorendo la risoluzione delle controversie nascenti, re– spingendo concordemente le minacce alla, pace, creando ]e più ampie possibilità ed i mezzi per pr-ogredire econo– micamente, socialmente e spiritualmente. La divisione del mondo in sfere d'influenza determinò a suo tempo il venir meno delle condizioni atte a favorire il funziona– mento dell'ONU: volontà çlei .« grandi » di collaborare stabilmente alla risoluzione di tutti i problemi della pace, P.Ossibilità per i « piccoli » di svolg~re una funzione in– dipendente di conciliazione e moderazione. A loro volta le sfere di influenza furono retaggio di precedenti errori e del sospetto che- animò, nei rai>porti reciproci, la Russ1a' e il mondo occidentale. Per cui, sul piano politico occorn. realizzare uno schieramento che sia il più vasto possi– bile, ed abbia a fondamento i seguenti principi: ,i.) non ingerenza di alcun paese negli affari interni di !llcun altro; b) diritto di tutti a partecipare in modo autonomo, aila ~oluzione di tutte le controversie internazionali; c) libertà di scambi economici e di relazioni culturali tra tutti i paesì. Solo un tale- schieramento può garantire agli Stati– Uniti ed al1a Russia che non si intende, da parte di ùn contendente, aggredire l'altro; solo esso può consentire l'affermarsi e il consolidarsi di regimi dempcratici (e non nazionalisti-dittariali-filobolscevici) nei paesi cdo– Jliali che conquistano l'indipendenza; solo esso può .favo– rire il definitivo svincolo dei paesi satelliti dalla r>olitic:a sovietica assicurandoli anche contro il rischio di finfre in un altro « blocco-». Non solo: in un tale ambito .si può anche riproporre, con nuove partecipazioni ed in mltdi adeguati, il problema di una più Stretta forma di orga– nizzazione europea, non limitata alla « piccola Europa» e libera da legami militari con terzi e da problemi rJi conservazione coloniale. Quando gli oc~identali hanno svolto una politi.ca di potenza hanno perduto terreno sul piano politico e rli– plomatico, come ha dimostrato l'epi~odio egiziano, c:hc ha permesso all'URSS di assicurarsi l'appoggio del mo:iùo afro-asiatico nel quale figurano paesi certamente demo– cratici e però, proprio per questo, svincolati dalla poli– tica dei blocchi e gelosi della pi'opria indipendenza. Ne consegue che solo operando per la distensione, con piena fiducia ed in· assoluta coerenza, si può chiarire la situa– zione internazionale, isolando stabilmente chi la djst-en– ~ione in effetti non voglia e così imponendola anche ad es~o. E solo in clima di' distensione, del resio, possono svilupparsi i moti di 1ibertà che si manifestano nell'Eu- ,ropa orientale. • Attualmente esistono .le condizioni per .U superamento 'ilei blocchi e dei programmi di ripartizione del mondo .in s~ere di influenza: spetta ai socialisti essere all'avanguar– dia nella lotta che si conduce a tal fine. FRANCO RAVN (157) n~ova repubblica ITALIA POLITICA l. DOPOBUDAPES O RMAI si può fare un bilancio· delle reazioni politiche ' italiane ai fatti d'Ungheria. Vediamo, in primo luogo, le reazioni di governo. L'Italia è stata, all'ONU, in testa a tutti i paesi nella proposta e ~ella richiesta di misure 1 che, temiamo, si avve– reranno accademiche, e disperatamente tardive. Noi non abbiamo, credo, nessuna responsabilità nella campagna di illusioni che la propaganda atlanticà aveva suscitato negl'insorti ungheresi, i quali, ai giornalisti occidentali, hanno così spesso manifestato l'attesa, e poi Ja desolata delusione di un concreto aiuto dell'Occidente. Cel'to · quella prop{tganda, come tutte Je promesse che si sa di non potere e non vòler mantenere, è stata un errore im– perdonabile. Il nostro governo e la nostra classe ~irigente, avevano su questo piallo 1e mani pulite, ed è un merito·; è anche un avallo di serietà per i passi compiuti dalla nostra delegazione affONU. Questi passi, tuttavia, non avranno conseguenze, perché non c'è nessun motivo di credere che l'Unione Sovietica si adatti a sottoporre la sna gestione della questione ungherese ad un'inchiesta dell'ONU, e la stabilizzazione politica di Budapest al suo control1o. Resterebbe da domandarsi se esista allora una giustificazione dei passi diplomatici inutili. Questa giu– stifical'-ione esiste. Vi sono ·passi diplomatici che contano per il solo fatto che determinano una scossa dell'opinione, o che le :imprimono un orientaroeqto, impedendole di ri– manere fluttuante e imprecisa; o che concreta.no in un testo la memoria di un atteggiamento, indicandone il limite. La proposta Vitetti all'ONU è 1a sintesi della rea– zione dell'Europa occidenta1e ai !atti .. d'Ungheria: rea– zione eminentemente morale, se vog1iamo usare questa paro1a, alla quale si dovrebbero pur connettere determi– nazioni pratiche, che in questo caso si sapeva di non potere e non voler fa.r seguire alla protesta. G1i sviluppi ·dei rapporti Oriente-Occidente diranno se era nel nostro interes.~e p1·endere noi l'iniziativa. Delle conseguenze dei fatti d'Ungheria, la più note~ vole, nel 'mondo politico italian~, è quella della rottura tra i partiti di ·classe, socialista e comunista, e delle sfasa– ture che pur si devono registrare tra socialisti e socialde– mocratici. Tra socialisti e co·munisti, la polemica ha cercato di richiamarsi ai principi. La tesi. dei socialisti è che l'inter- · nazi9nalismo opera.io in negsun momento autorizzerebbe l'intervento delle forze di uno stato socialista a risolvere d'imperio una cr·isi politica di qualsiasi popolo, la quale, secondo i canoni di quella democrazia di cui il socialismo è c~ttnte sviluppo, non può, comunque, risolversi che in mbdo autonomo, secondo il dfritto dell'autodetermi– ~azi?ne. La risposta dei comunisti, in sostanza, è che questo giudizio socialista risulta astratto: la rivoluzione mondiale si difende in qualsiasi punto essa sia minac– ciata,; e lo stato rivoluzionario che interviene con le sue fOl'ze là dove trionfa la controrivoluzione fa il dover suo: salva Ja intera prospettiva storica della rivoluzione. Non occorre molto acume per avvedersi che ciascuna. delle due interpretazioni ha una portata politica imme• diata, e che questa è più importante del gi~dizio sulla politica. sovietica. L'interpreta;,,ione comunista è quasi del tutto priva di document.azion.e storfoa. Abbiamo sen– tito a Milano l'on. Scoccimarro evocare Ia reazione bianca organizzata a Salisburgo, con denaro americano e scherani di Horthy, çome determinante della degenerazione, da democratica. a reazionaria, dell'insurrezione ungherese. Questa presunta «guida» politica· della fascistizzazione della rivolta sarebbe credibile solo se si provasse che lunghi, ininterrotti rapporti clandestini abbiano legato i più vari strati della popolazione ungherese agli emigrati del fascismo. D'altro canto, la stessa tesi comunista dice che l'insurrezione .di Budapest è da riportarsi alla inca~ pacità della· classe dirigente comunista locale a trarre, dal XX Congresso del PCUS, Je debite conseguenze libe– ralizzatrici. La colpa di questa dirigenza sarebbe dunque di aver fallito negli ultimi otto mesi che pre.cedettero l'in• surrezione, il che è ridicolo. Basterebbe ammettere che · l'errore sia durato otto anni• anziché otto mesi, in un paese che ancora nel '48 era in maggioranza anticomu– nista, per spiegar~ l'indirizzo assunto daJJa rivolta unghe~ rese senza J"icorrere all'espediente di Salisburgo. Si tratta allora di cattivi argomenti al servizio di una tesi, anzi di una serie di tesi fideistiche: quelle dell'infallibilità garan– tita delle prospettive della rivoluzione mondiale, per cu'i il particolare deve essere sacrificato al totale; della infal– libilità del soggetto di quelle prospettive, lo stato sovie– tico; del ricatt_o delle alternative, per cui chi non giusti– fica l'intervento dell'URSS in Ungheria si è già posto dall'altra parte del mondo, dalJa parte fascista - se in malafede; o è affetto da una miopia storico-politica spe• rabilmente correggibile - se • in buona fede, come si spera ancora per i socialisti,· dei quali il PCI tenta di trattenere 'gli ultimi legami di una dubbia alleanza. Ma questo ultimo punto è, per l'interpretazione comunista ita– liana, fondamentale: si tratta per il PCI di evitare l'iso– lamento, e, allo stato attuale dei fatti, lo sfo1".1,o deve an– cora essere condotto Sulla frontiera socia.lista; ma si tratta anche di utilizzare in pieno un certo « complesso dell'ar– roccamento ~, la fierezza del sapersi circondati e asse– diati e del sa1)er resistere nella certezza dell'avvenire - elementi tutti che valgono a rinsaldare la cosc.ienza co~ munista e a stringere il partito nel momento dell'assalto· da· tante parti guidato e invocato. Per il PSI, l'interpretazione dei fatti d'Ungheria do- vrebbe essere H segno dì un nuovo equilibrio fra i con– cetti di democrazia e di socialismo. Là dove Ja nOJ"ma democratica dell'autodeterminazione è violata, è vano invocare la difesa del socialismo: il socialismo noll' si asside sulle baionette straniere. Di qui una opposta con– cezione, rispetto ai comunisti, dell'internazionalismo ope– raio. Per i comunisti, queBo sovietico è anche un inter– vento dell'interna'l,ionalismo operaio, giacché proviene dal primo stato socialista del mondo; è l'internazionalismo di un movimento operaio giunto a· consolidarsi nel potere. Per i socialisti l'internazionalismo resta valido se è l'uni– versalità virtuale della coscienza operaia del mondo, auten~ tica solo quando è liberatrice, e quando respinge le forme délla politica di potenza, proprie del 1nondo borghese. L'accento del giudizio socialista batte su quest'ultima argomentazione, che è anche quella ·sUlla ,quale il. PSI porta la sua ultima resistenza ad una formulazione so– cialdemocratica dell'unificazione. La diatriba tra .Ava.nti! e Giustizia sui limiti della condanna dell'URSS sta in ciò, che i socialisti ricusano ancora di identificare, come fanno i socialdemocratici, l'assolutismo della politica estera· so– vietica con il· totalitarismo tout-court; e quindi implici– tamente ammettono che' l'enorme errore dell'intervento in Ungheria sia una « deviazione di destra» della politica sovietica, rettificabile ne11a misura .in cui quello di Mosca resta uno stato socialista. I socialisti hanno sempre chie– sto una autocritica del sistema comunista, senza mai esclu– dere, anzi implicitamente ammettendo, che essa, svilup– pando la via di Krusciov, sia realizzabile. I socialdemo– c'ra.tici non vi credono affatto: il Comunismo è un mon– strum senza nesSo alcuno con il socialismo; non può pro– gredire verso il socialismo perché ne diverge alle radici. Non conta nulla che nei pftesi cli ordina.mento com-unista la proprietà ·privata dei mezzi di produzione sia ca.dut~: e?5a dimostra di non avere di per sé virtù di sviluppi democratici. Ponendo nelle Illani -dello stato le basi totali della struttura, gli affida, legata· alla ·classe dirigente di esso, quelle della soprastruttura: il modo 'di vita del popolo non ne è modificato che in peggio. L'UngheTia ne è l'esempio gridante: il comunismo è per sua natura massacro. Se i socialisti stentano qualche poco a rasse– gnarsi- a. questa generalizzazione, - è• forse perché sanno che, accettata, non c'è più limite al cedimerito all'inter~ prelazione borghese di un- partito socialista unificato da neutralizzarsi in ogni suo proposito colorito di soc'ialismo. Noi sappiamo che l'unifica.'l,ione socialista è in marcia e c.Pe prob'abilmellte nulla l'arresterà: il dibattito tra PSI o PSDI sull'interpretazione dei fatti d'Ungheria ci lascia pieni d'inquietudine, perch6 temiamo che, invece· di un chiarimento, producn, ancora una volta, un· compromesso di parole. f L REPERTORIO delle reazioni ~ei partiti italiani sareb– be incompiµto se non si tcnosse conto di qua11to la dome– nica 12 ottobre ha rivelato del penSiero democristiano. Ora la domenica 12 ottobre ha enumerato una serie di sfumature, che vanno dal « basta al comunismo» gridato a Genova da Mario Scelba, alla :interpretaziòne «cosmica» della immanità sovietica. _del prof. Dossetti a Bologna (non disgiunta da una condanna dell'intervento di Suez. che nessun altro cattolico, in Italia, aveva espressa più dura ed esplicita). Ciò che importa, è ricavare da~ quelle prove di eloquenza le conseguen'l,e pratiche. La prima di esse è che, nell'affermazione del falli– mento economico e. politico del comunismo come totali– tarismo, ancora una voha nulla sostanzialmente .distingue Ja versione demoet·istiana da quella socialdemo,crntica della Giustizia. Ciò va detto perché non ci si illuda sulla fine del centrismo socialdemocratico: è una malattia pe– netrata nelle ossa, e, anche •facendosi l'unificazione, è bene si sal)pi~ che psicologicamente questa ipoteca resta, perché pervade ~dee e sentimenti del personale socialde– mocratico. La seconda, di cui va dato atto alla DC al governo, è che essa ha cercato, ora coi divieti di manife– staz.ioni ora con l'impiego massiccio della· forza pubblica, di evitare ogni grosso~ scontro tra comunisti e anticomu– nisti del gene1·e di quelli che hanno Innestato la Francia. In questo frangente, 'fam?roni si è dimostrato accorto e capace. Ma le conseguenze della visione democristiana dei fatti d.'Ungheria, cioè la nuova piattaforma della. lotta al)tico– munista lanciata dai comizi della domeÌlica dodioi, si doveva raccoglie1;e dal1a direzione democristiana del_ 14. Tanto' il segretario Fanfan"i, quanto poi il presidente del consiglio Segni, Si sono guardati dal far pro'prio lo scelbismo. Poco importa che le ragioni avanzate siaiio quelle della furberia: non si vuole creare del vittimismo. L'importante è che la· DC abbia scelto,· a dispetto della sua destra e di ogni destra, la via dell'incremento demò– cratico, anziché deJla clemocrazi_a protetta, come « teta– Pia » anticÒÌnunista. Qùèsta accortezza avrà:, qtianti se ·ne voglia, secondi .firù. Può essé_re stata ·suggerita dalio st'èsso Saragat, indirettamente; coine un buon me'iZo· all'unifi. cazione socialista, se in essa ·debbono convergete alcuni gruppi delP-elettorato comunista. Ciò 'che importa,; è che iri questo modo si è ser~ito il fine prirrto, clie· è ·quello di non reprimere il comunismo· italiano, quali che siano le sue adesioni a tutte, ne·ssuna esch1sa ormai, le -decisioni del– l'URSS. Il vero modo di «·fare i conti, con il·comtmismo è di lasciarli fare all'elettorato. La DC ba preso questa decisione, e gliene va dato atto; ALADINO

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