Nuova Repubblica - anno II - n. 6 - 20 marzo 1954

8 PLAUSI e botte ~ Da alcuni mwi non vedevamo R. V.; lo ricordavamo cattolico, in– namorato dei dogmi, osservante con puntiglio. Incontrandolo tempo addie– tro, ci stupimmo di una folta barba che gli incorniciava il viso; i capelli, sulle spalle, gareggiavano con quel– la, in rigoglio e lunghezza. « Ecco - ci spiegò dolcemente - le mie convinzioni religiose non 1ni permet– tono di contravvenire le Leggi della Natura. Le Leggi della Natura sono sacre e volte al Bene. Se la Provvi– denza ci elargisce copiosamente bar– ba e capelli, con quale temerarietà ne dovremmo interrom.pere noi il natural corso?». Continuò, dicendosi preoccupato per la salute dell'anima del Santo Padre: con mezzi artifi– ciali, con volgare penicillina, i me– dici gli avevano precluso il naturale decorso di una polmonite. Sa pendolo sposato da alcuni anni ormai, gli chiedemmo con un certo allarme quanti figli la Natura gli avesse do– nato. « Uno - ci disse sottovoce - Sì, sì, d'accordo: le Leggi della Na- tura ... la Provvidenza ... tutto questo sta bene. Ma i figli ..., perbacco. i figli devo mantenermeli io ». Questo che abbiamo riferito non è un apologo, ma potrebbe anche es– serlo. Perché R. V. è l'interprete schietto e sensibile, lo specchio fedele e inappannabile di tutti i bempen– santi che si sono stracciati le vesti alla notizia che in Italia si era po– tuta costituire un'Associazione per -""----l'frdtt-&.JUjg_ne Demografica. Ma dove vanno a fi'ni18, ditemelo voi, le leggi naturali, la tradizione, i valori na– zionali, i perenni atti di fede?. « Il • fenomeno della prepotente natalità calabrese - ha scritto un settimanale della Calabria - che viene rimpro– z,erato come irnprevidenza e inco– scienza, è un perenne atto di fede. E vi pare poco questo atto di fede, di speranza, in un tempo in cui deca– dono, i valori tradizionali di Patria, Famiglia, Virtù?». Naturalmente, co– desti squillanti tromboni della fede e della speranza, se andrete a chieder loro quante testimonianze hanno dato di tali altissime virtù, vi risponde– ranno in sordina come R. Ji... E che diamine! La prepotente natalità è prerogativa di chi è ormai allenato da secoli a fare atti di fede e di spe– ranza: fede in un mondo migliore (dopo morti!), speranza in una casa che non sia una stalla e che non vie– ,,. mai, in un lavoro che permetta di mangiare almmo una volta al giorno e che non si trova mai, ecc. ecc. Per gli altri - quelli che suona– no la tromba - basta, di tanto in tanto, qualche atto di carità. Prefe– ribilmente pelosa: tipo chilo di pasta e scarpe spaiate, tanto per intenderci. • Parecchie ~ose stra,~e (almeno strane) affiorano di giorno in giorno nel processo Muto. Per esempio que– sta: come mai il sedicente marchese M on/.agna, fino a ieri un illustre sco– nosciuto, 111a ben conosciuto alla Giu,– stizia, sia stato nominato am·ministra– tore d'una' tenuta di Sua Maestà il !?e ed ora di S. E. il Presidente della Repubblica (tenuta che, com'è ormai indubbio, è stata. da lui trasformata in un ameno luogo di idilli r.on pro– priamente platonici). Dal rapporto informativo dei Carabinieri si è final– mente venuto a sapere che il suddetto « marchese » nel '38 è stato condan– nato per falso in cambiali e insol- 1Jenza fraudolenta; nel '40 è stato diffidato dalla Polizia per avere alle– stito in casa sua « allegre » riunioni per gerarchi fascisti; durante il pas– sato regime è stato inoltre spia del– l'OVRA e dei nazisti .... Dove però le « stranezze » cominciano a divenir chiare è per esempio nelle dichiara– zioni fatte dai Ministri Piccioni e Spatato a un redattore dell'ANSA. Per chi non lo sapesse, il verdetto del processo Muto è già stato pronunzia– to, la sentenza di condanna è già stata •messa. Non dalla Magistratura, be– ninteso, ma ... da una parte in causa. Sembra incredibile, ma è vero, dal momento che i due sullodati Ministri (di cui uno è stato proprio - ed è possibils che torni ad esserlo - Mi– nistro di Grazia e Giustizia!) hanno pubblicamente asserito: « Le affer– mazio11i della Caglio 11011 sono meri- B Gn tez:oli ne/1J1ure del mi,iinio riliel 1 0. almeno per ogni persona di buon senso e di elementare onestà». Dun– que la Magistratura, che le sta rite– nendo m.eritevoli d'un certo rilievo, e che forse continuerà a ritenerle tali sino alla fine, è già bell'e servita: essa, almeno nella persona dei giudici di questo processo, ha già la patente di insensata e disonesta, se non con– cluderà nel senso desiderato dai due egregi Ministri. !I- Elementare onestà e buon senso evidentemente hanno trovato il loro esclusivo domicilio in casa Piccioni– S pataro e clienti, se è vero che la magistratura e l'opinione pubblica del paese ritengono meritevoli di ri– lievo (minimo o massimo che sia, non importa) le affermazioni della Caglio. Non può pertanto, non destare in noi profonda meraviglia il fatto che il Piccioni si sia astenuto dal rassegnare le dimissioni da ministro degli esteri e che lo S pataro si sia assunto il com– pito di « moralizzare » la Democrazia Cristiana. Sono o non sono repleti, per loro stessa implicita affermazione, di tutto il buon senso, di tuita l'ele– mentare onestà, di cui sono assoluta– mente sprovveduti 48 milioni di Ita– liani? ♦ Però, guarda che scherzo vanno a combinare ai loro stessi amici demo– cristiani, con questo ingordo accapar– ramento di tutto il buon senso dispo– nibile sulla piazza. Lo stesso Scelba ne è rimasto vittima. Lasciamo stare l'infortunio capitatogli alla cerimonia per le nozze del figlio del mai abba– stanza citato Spataro, là dove un'on– cia appena di avvedutezza avrebbe evitato al/'011. Scelba di trovarsi nel– la poltrona dei testimoni a strofinare il proprio gomito (che .-iteniamo pu– lito) con quello (che pulito non è) del celebre «marchese». Ma che dire della dichiarazione con cui il Presidente del Consiglio si è sen– tito in dovere di accompagnare l'ac– cettazione delle dimissioni de/-dott. Tommaso Pavone da capo della po– lizia? « li Presidente del Consiglio - reca la comunicazione ufficiale - nel prmdere atto della decisione, ha espressò" al dottor Pavo11e il suo alto apprezzamento per il gesto che lo onora come cittadino e corne funz-io– nario, aggiungendo un ulteriore ti– tolo di benemerenza ai tanti acquistati e che il Paese apprezzerà nel suo giu– sto sig11ificato ». No, on. Scelba, non ci siamo. Dato e non concesso che il dott. Pavone sia del tutto estraneo agli« affari» del Montagna (dour011- no affermarlo la Magistratura e l'in– chiesta affidata all'on. De Caro), resta sempre un'accusa che il funzionario non ha potuto smentire: quella di essere in rapporti di cordiale amici– zia col Montagna stesso. Il che po– stula un'altra precisa responsabilità per il dòtt. Pavone: quella, nella mi– gliore delle ipotesi, di non essersi ac– corto di quanto avveniva attorno a lui, di aver mancato cioè ai suoi do– veri di capo della polizia. « Titolo di benemerenza» le sue dimissioni? Così afferma solennemente il presi– dente del Consiglio. Ma in che paese viviamo? Che proprio il buon senso ci abbia abbandonati tutti? ♦ Al tempo! Non siamo cosi inge– nui da credere che l'elogio presiden– ziale al dott. Pavone nasca da assoluta mancanza di buon senso nell'on. Scel– ba. Chi fu a chiamare il Pavone a ricoprire la carica di capo della po– lizia? Se non erriamo fu proprio l'at– tuale Presidente del Consiglio, allora ministro degli interni. E così tutto si spiega. Ciccro pro domo sua. /1 che non toglie che la casa messa su amorosamente dall'on. Scelba, con anni di lavoro indefesso (la « pupilla del regime!») si sia rivelata, a un certo 1nomento, una casa non troppo in ordine. · Jl!J- Dirà l' on. S celba che c'eran ben altre cose a cui pensare; e non aveva né cento braccia, né cento gambe per riparare a tutto. La solita storia, insomma: lui si batteva eroicamente contro i pentecostali, il culturame, i nomadelfi, ecc. che, a ondate ricor– renti, tentavano di scalare le mura della fortezza democratica (cristiana) e, intanto, di soppiatto, i nemici si introducevano nella cittadella. Un infortunio anche questo? Decisamente no. « Chi semina vento raccoglie tem– pesta » dice un vecchio proverbio. L'on. Scelba doveva ricordarselo, perché i proverbi sono il frutto di tanto buon senso. (Ma già, dimenti 0 cavamo: il buon senso se l'è rastrel– lato tu.tto la ditta Piccioni-Spataro). OGNUNO B NUOVA flEPUBBLICA LIBRI E PROBLEMI L J esperienza di A. S E, come afferma il detto volter– riano, a1 morti s1 deve la verità, tanto più la dobbiamo a colo– ro che, negli anni çlella vergogna, in vario modo vollero questa nostra faticOSf' rinascita, e che, come tali, sono il passato, che vive in noi. Fra essi i giovani furono numerosi, anche se diversi per sentire morale, per ,volontà di azione, per signifi– cato e realizzazione. Così da Gio– betti, da Lauro De Bosis, da Gi~– liano Viezzoli sino ad Aldo Mau– tino, la cui opera, intesa a chiarire la formazione della filosofia poli– tica di B. Croce, riflette la prima ed unica compiuta esperienza teorica di una vita interrotta ndla prima età giovanile, e ne serba con tutt"evidenza i caratteri. La fiducia di uno sponta– neo acquietarsi nella certezza di una verità a lungo cercata e finalmente trovata, il candido e rigoroso ardore di un· indubitabile lealtà intellettuale, la proclamata sicurezza di un ritro– vamento teorico che gli si era conver– tito in modello morale; e di conse– guenza, un chiarire che è ua para– frasare, un criticare che è un superare il primo con l"ultimo Croce, nell"am– m.irazione di un pensiero che gli ap– pariva organicamente sviluppantesi pur tra le intrinseche difficoltà. Difetti; questi, e limiti, che egli avrebbe superato, come il suo intel– letto e la sua onestà facevano spe– rare, e la pietà che gli dobbiamo con la verità, ci impone di credere. Non– di,neno, per la giovanile schiettezza e devozione, e per la morte che inter– rompendone crudamente l'attivit:ì, lo consegnò a noi quasi in un astratto momento della sua esistenza, l"opera e la personalità di lui rappresentano in modo tipico l'efficacia e .il limite di un movimento culturale e politico. Gioele Solari, stendendone la biogra– fia ed il Bobbio, completandola, in– seriscono la vita e l"esperienza del M. nella tradizione universitaria• tori– nese che trasse origine da Gramsci e da Gobetti, e congiungendolo ideal– mente ad essi, ne fanno il simbolo della migliore gioventù degli anni tra il 1935 e il 1940: non senza in– dulgere, per la verità, ad una sorta di agiografismo laico e borghese, e ad interpretazioni di carattere psicolo– gico. Nato a Torino il 18 settemore 1917, la sua educazione famigliare fu quella che è di tutte le famiglie: in– ,capace di entrare nell'intimo della vita morale ed intellettuale: ma, in– telligenza pronta e meditativa, sin dai primi studi liceali seppe avvicinarsi alle fonti del pensiero libero è civi– le, e· segnatamente a quello ,del Cro– ce. A quegli anni risale il primo, consapevole sforzo per superare l'in– certezza sul fine e sul valore della vita, e la prima, conseguente auto– critica. « E' vero: - scriverà più tardi, riandando al passato - da mol– to tempo la mia vita è una ricerca, spesso se.rena ma talora addirit,tura affannosa, di una meta che io stesso non conosco. Una meta che significhi certezza, che significhi pace, in cui io possa fondare il mio lavoro e ripo– sare tranquillo: un conforto profondo e sicuro: forse una fede ». Incertezza, che si fece più viva e pungente nella scelta della via da seguire: senonché, fatto esperto di quel male e superato• lo, ad un amico che pur lo soffriva, gli pareva di poter consigliare, quasi a rassicurare se stesso: « e soprattutto non consumarti le meningi sull' indo– vinello: lettere, legge? perché non ne vale la pena. Un giurista ed un let– terato si equivalgono. Lettere e legge quando siano liberate dalle illusio– ni del frutto proibito sono tutte e due un povero mestiere ... Quello che con– forta e giustifica la vita è quello che né le pandette, né la ideologia, né tutta la superbissima ignoranza uni– versitaria possono insegnare; la ragion della vita ed il nostro futuro sono preparatorio e momento realizzatore, a misticismi e a sogni di paci irraggiun– gibili, pur tuttavia, nel fatto, esso espri– meva l'esigenza di vivere in coerenza con se stesso e di fare bene quello che si fa. Con questi propositi di vita. il M. veniva indagando la filosofia del Cro– ce, ed in modo particolare ne appro– fondiva la concezione etico-politica. Gli era di giovamento l"amicizia che aveva stretto con Mario Lamberti, già ALDO MAUTINO La formazione della filo– sofia politica di B. Croce Laterza, 1953 intimo collaboratore del Gobetti a « Rivoluzione liberale», e la dime– stichezza in cui era entrato con i pro– fessori che ancora rappresentavano nell"Università torinese la classe poli– tica liberale, e che il moto del Gram– sci avevano visto e quello d<,I Go– betti favorito. Ma, oltre queste circo– stanze di luogo e di persone, che lo legavano ad essi, nel M. non vi è nul– la della concretezza di pensiero e di azione di Gramsci e dei comunisti torinesi. Nulla dell'attivismo liberale e della speranza operaistica del Gobet– ti, di quell'alfieriano· amore di liber– tà prorompente nell"elogio della ghi– gliottina, cui egli avrebbe testimo– niato con la vita, e che sarebbe conAuito, con esperienze mazziniane e socialistiche, nel movimento di « Giustizia e Libertà». A quell"idea– le, cui non si può negare un ca– rattere decadentistico nella esasperata affermazione, il crociano Omodeo con• trapponeva, nel recensire il « Risor– gimento senza eroi » del Gobetti, nel "26, il mito cjel conse.rvatorismo illu– minato, che, nella particolare situa– zione storica, si convertiva in illumi– nata resistenza nell"ordine costituito. Era, in so~tanza, la riproposizione di un costume moderato risorgimentale, rifuggente da cospirazioni e da rivol– te; ma edulcorato e privo della :•irtù dei fatti pratici, che pur aveva carat– terizzato l'azione dei Cavour, dei )a– cini e dei Ricasoli. Un amore rifles– sivo di moderazione, in cui si Confon– deva la continuità storica con la continuità degli istituiti giuridici, si rifuggiva da ogni posizione di rottu– ra, e si restava, anche negli :it!i po– litici più impegnativi, nell'ambito del– la legalità. V'è certamente una stretta connes– sione fra questo mito e la teoria storiografica del Croce, la cui opera, diretta ad illustrare il •positivo della storia e a negarne, o a sminuirne, o o trascurarne quant"è possibile il ne- Mautino gativo, riesce ad una sorta di fatalismo idealistico, donde quel senso di im– preparante ed esausto soddisfacimento, che prende il lettore. Ma soprattutto, esso non può andar disgiunto dalle for– ze sociali, cui quelli uomini apparte– vano, e che erano attente a ben di– sgiungersi dalle altre forze di o-ppo– sizione e a far sì che essa non degenerasse in rivoluzione politica e sociale, come è ben visibile dall"aspra e talvolta acre polemica antimarxista condotta dalla scuola crociana : pole– mica, che, nel suo aspetto politico, con tutta facilità poteva essere fatta pro– pria delle forze reazionarie, e che via via andava accentuandosi ed im– meschinendosi. Cosicché, nell"urto con la contrastante realtà, consolidandosi l"oppressione, il Croce dava forma concreta a questa concezione, mate– rializzando il processo dialettico di pensiero e d"azione nella vita cul– turale e nella lotta politica: l'una sentita come congeniale, l'altrà diser– tata come cosa. non propria. E il M. faceva sua tale posizione, riconnettendola alla distinzione di in– terno ed esterno, di preparazione e di realizzazione, che già aveva formulato. Nell'impedimento di ogni altra for– ma di pratico operare, gli parev.a che suo preciso dovere fosse di cercare ne– gli studi una luce che. mentre rischia– rasse il presente, potesse anche far rin– tracciare una via sicura nell'oscurità dell"avvenire. Ma lo studio che egli faceva per chiarire sè a se stesso, per ritrovarsi in pace con sé, e il desi– derio che esso potesse giovare ai molt, altri d1e provavano la- sua stessa an– sia, non erano sufficienti. Perché la oscurità dell"avvenire potesse effetti– vamente risd1iararsi non era dato ri– trarsi nella ricerca di una luce, che si doveva invece suscitare nella realtà; e il desiderio doveva cedere allo sfor– zo del pratico operare. In quella nega– zione totale, la libertà andava difesa totalmente, nella vita di cultura e nella lotta politica. Ma egli non seppe compiere que– sto progresso, e neppure lo tentò, per– ché veramente, come ebbe a scrivere al Croce, egli era di coloro che erano stati educati ed erano arrivati alla vita, nella vita stessa conservando una simile maniera di considerare le cose, di ragionare, tli pensare addirittura, in un ambiente che era stato ed era crociano. Scolaro - fedele, dunque, non scolaro - maestro. GIUSEPPEPIZZONII NUOVA REPUBBLI fllJINDlfJINAl,B 1'01,JTl(JO Esce il 5 e il 20 di opi mese ia ottoo pili pqiae Comitato Direllioo: P.CAL!ffl - l. CODIGNDLA - A.GREPPI - P.VITTDRELLI Segretario di reduion,: G.fAVATI Redaalon,1 Flnue, Piuu della Libertl 15 (50.998) Amminialrolion,: F1..,.,.., Plaua Iadipendenu, 29 (22.058) Abb. annuo (Italia e Francia): L. 850, semestrale L. 450, trime1trale L. 250 (Estero, rispettivamente, 1100, 600, 300). Abb. sostenitore: L. 5000. Sottoscrizione mensile: L. 200. Un numero ordinario: L. 35 (Estero, 45) Un numero arretr·ato: L. 40 (Estero, 55) Un'annata arretrata: L. l()(k) (Estero, 1200) •/• poetale 5/6261 (Lo N•••• I101io) Flreuo Autotlu, dtl Trib, di Flrenu n, 978 dtl 80-12-19152 Stabilimenti tipolitografici Vallecchi Firenze, Viale dei Mille, 90 Responsabile: Tristano Codignola

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