Nuova Repubblica - anno I - n. 23 - 5 dicembre 1953

8 LETTERA a un parente POVERO Cm·o Michele, nel 1950 io ti diedi un appuntamen– to, al quale non intendo mancare. Era– vamo, se ben ricordi, nello studio del comune amico A. R., dopo il discorso che tu avevi tenuto per conto del Movimento Federalista Europeo. Si discuteva, con la solita franchezza, la situazione politica. lo ti dissi che consideravo un gra– vissimo errore, dopo le elezioni del 18 Aprile 1948, la partecipazione di liberali, repubblicani e socialdemocra– tici al governo della O.C. Per ragioni concretamente politiche e non astratte. Gli uomini hanno inventato le istitu– zioni .Iemocratiche soprattutto perché queste consentono loro di cambiare il governo pacificamente, senza dover fare ogni volta una rivoluzione. In uno stato democratico moderno, quin– di, il problema delle forze che do– vranno succedere nella direzione po· litica alle forze di governo è altret– tanto importante del problema della ;tabilità ed efficienza del governo stes– so. Mentre è giusto e doveroso occu– parsi di queste ultime, uomini politi– ci lungimiranti devono provvedere ad assicurare in tempo il normale ricam– bio, il quale permette di consolidare, al .di là dei governi passeggeri, le istituzioni democratiche. I p>rtiti li– berale, repubblicano e socialdemocra– tico - io ti dissi allora - hanno commesso l'errore gravissimo di vin– colare tutte le forze democratiche ita– liane ad una collaborazione, che con– sente ai comunisti e consentirà alle destre risorgenti di presentarsi al Pae– se come le sole forze di opposizione, la sola alternativa alla O.C., l'unica possibilità concreta di mutare la dire– zione politica, i soli a cui si possa fare appello per la riparazione delle ingiustizie, dei torti e degli errori commessi dai partiti di governo; l'uni– ca alternativa, insomma, al presente stato di cose, che - come tu stesso riconoscevi - non costituiva certa– mente l'ideale. Metttndo 11111i de- 111ocr~11ici al gorcr110 e gettando /111/i i totalitari ali'opposizione, io ti dissi che si commette,•a l'errore gravissimo di buttare il Paese allo sbaraglio, di– struggendo ogni possibilità di risol– vere in una lotta politica civile lo scontento e le richieste che partivano dalla enorme massa dei delusi e dei diseredati. Così, con la pretesa di eser– citare il ruolo di mosche cocchiere nei riguardi della D.C., voi avete gri– dato a tutto spiano per cinque prezio– sissimi anni: « non parlate al mano– vratore»; avete soffocato nei vostri partiti ogni voce di critica che veniva da quei settori dell'opinione pubblica, i quali si attendevano che liberali, re– pubblicani e socialdemocratici si faces– sero interpreti delle loro aspirazioni; avete provocato il sorgere di una op– posizione sett:uia, demagogica, violen– ta e indiscriminata - di sinistra e di destra -; avete costretto il Paese e gli elettori a vendere l'anima al dia– volo, pur di esercitare il proprio diritto di critica e di correzione. lo • ti dissi tutto questo ed altro, che ben ricordo ma che sarebbe troppo lungo richiamare; e tu mi rispon– desti che le mie erano teorie e che l'unica cosa da fare concretamente allora• e dopo - ed eravamo nel 1910 ! - era di spingere la O.C. verso un programma di realizzazioni e di imoedirle di andare a destra. Il accaduto poi quello che noi tutti sappiamo e abbiamo visto coi nostri occhi. I liberali, repubblicani e social– democrntici sono stati via via can– cellati dalla carta politica del Paese ed il 7 giugno ha segnato la loro dissoluzione. Gli elettori scontenti del governo hanno riversato i loro vNi verso l'estrema sinistra e verso l'estre– ma destra; ed ora la democrazia cri– stiana cerca i suoi nuovi alleati, o, per meglio dire, avendoli già trovati, si preoccupa di riverniciarli a nuovo con la demagogia triestina, che in Italia si è sempre dimostrata infal– libile. Il fatto grave per dei politici rea– listi è che ora Saragat e La Malfa, riconoscendo gli errori commessi, pre– tendano far macchina indietro e ri- cominciare da capo. Che bella pretesa è mai questa? 1n quel colloquio del 1950, del quale parlavo all'inizio, quan– do io ti chiesi che cosa ci sarebbe rimasto da fare qualora la vostra po– litica di collaborazione - come io prevedevo - avesse fatto fallimtnto, anche tu mi rispondesti che in t•I caso conveniva rimboccarsi le maniche e ricominciare. Io ti dissi inveCe che allora veramente avreste dovuto ch:u• dere bottega e andarvene in pensione. Nel numero del Mondo del 24 no– vembre la Mal/a sembra appunto che voglia ritornare alle origini. « Per re– sistere alle pressioni fortissime che ormai vengono da destra e da sini– stra - egli scrive - la struttura e la organizzazione di ciascuno dei tre partiti laici appare di una debolezza desolante. Occorre... arrivare -a una concentrazione di forze, a una defi– nizione programmatica comune. ti il minimo che si possa fare per attuare una efficiente oppo1izio11t co1titJ1zio– nale, come vuole Saragat, per prepa– rarsi a nuove elezioni se la D.C. si decider:\ a indirle.... Saragat non ha respinto l'idea di riunire gli sforzi dei tre partiti intorno a una alter• 11a1ivade111ocra1ita di siuiJtra. Non è venuto il tempo per i segretari dei tre partiti, Saragat, Villabruna e Rea– le, di affrontare decisamente il pro– blema e di dirci il loro pensiero?». Può darsi che sia venuto il mo– mento per Saragat, Villabruna e Reale, di dirci il loro pensiero; ma quello che ti posso assicurare io è che nes– suno, nel Mezzogiorno, si curerà di ciò che Saragat, Villabruna e Reale potranno dire. le elezioni del 7 giu– gno hanno cancellato definitivamente questi partiti dal Mezzogiorno. Non basta l'as/ralla 110/011/à di rimediare, quando le forze migliori sono andate disperse e la delusione, lo scettici– smo, la preoccupazione assorbente dei propri interessi, la paura, il bisogno, il conformismo hanno distrutto ogni forza autonoma di resistenza. Con chi - di grazia - Saragat, Villabruna e Reale compirebbero il loro nuovo vigoroso sforzo politico? Chi darebbe loro credito? E dove troverebbero i collaboratori? Non hanno pù neppu– re denari da spendere, automobili, lam– brette, impianti radio e milioni da distribuire agli accoliti, come prima del 7 giugno. Il Yero che la fede muove le montagne, ma il problema è appunto questo, caro Michele: gli uomini di fede - almeno quelli che conosco io - quaggiù vi hanno tutti abbandonato, mandandovi al dia– volo, e - per quanto riguarda i quadri del partito socialdemocratico che io conosco meglio degli altri - essi sono destinati a disperdersi de– finitivamente non appena la legge Mer– lin andrà in esecuzione. Tu ti domanderai a questo punto quale è lo scopo di questa lunga let– tera e dove voglio arrivare. Ti assi– curo che l"ho scritta soltanto per non mancare all'appuntamento e per ave– re la soddisfazione - amara - di compiere una piccola vendetta. La ven– detta di un idealista contro un rea– lista. Il realismo coerente, caro Mi– chele, vuole che non Cl si converta poi, di fronte all'insuccesso, improv– visamente all"idealismo, facendo ap– pello a quelle forze che, con la pro– pria azione, si è contribuito a disper– dere e a distruggere. lo so che anche questa volta, se faremo le elezioni perché Pella scio– glierà il Parlamento, i soliti visitatori apostolici si faranno vedere dalle nd– stre parti e terranno i soliti discorsi di esortazione e di incoraggiamento: « Orsù, amici, compagni... ! ». Che il diavolo se li porti fin da questo mo– mento. Anche tu, caro Michele, se verrai a tenere un discorso politico. Nel 1950 discutemmo amichevolmente e animatamente; nel 1951, in occa. sione delle elezioni amministrative, ven– ni ad ascoltarti ma non ti avvicinai per– ché avevo poco o nulla da dirti; nel 1953, per le elezioni politiche, non ti ascoltai nemmeno. Questo per te può non avere alcuna importanza. Ma - come è vero che sono stato iscrit– to anch'io al partito d'azione - se verrai nel 1954 mi vedrai in prima fila a lanciare pomodori e patate mar– ce. Perché siete voi che ci avete messo in questa alternativa: di do– vere vendere l'anima ai comunisti per evitare il fascismo, o di andare a brac- . cetto coi fascisti per evitare il co– munismo. Cordialmente, 1110 GIUSEPPE PATRONO NUOVA REPUBBLICA I LIBRI E PROBLEMI I Naovisaggifabiani ·E'ì\ significativo che la prim,ttva idea di questi Nuovi Saggi fo. bia11i ( ora tradotti per le « Edi– zioni di Comunità ») fosse sorta nel 1939, quando, cioè, il partito labu– rista britannico, ricostituita la sua uni– tà dopo la scissione Macdonald del 1931, e pronto a misurarsi di nuo– vo in condizioni di parità con un· avversario conservatore sempre più stre– mato di forze (solo lo scoppio del– la guerra impedì che il confronto av– venisse a vantaggio dei laburisti nel 1940), sentiva di avere bisogno di IO· gliere la polvere che stava ricoprendo le basi teoriche della sua azione, con– tenute néi primi Saggi fabiani, usciti nell'ultimo decennio del secolo scorso a cura di Bernard Shaw. L'idea dei nuovi saggi 'fabiani - sospesa dalla guerra, e nel 1945, dalla necessità di attuare in pratica il pen– siero laburista ancora in vigore - fu ripresa nel 1950, come ricorda l'ex Premier Clement Attlee nella sua pre– fazione, quando il governo laburista era ancora al potere. Ma la vittoria di stretta misura nelle elezioni del feb– braio del 1950 aveva dimostrato ai laburisti che l'opera di rinnovamento era urgente. Lo si vedeva già nei con– gressi, dove, nonostante il successo del– la prima esperienza laburista al potere, i dirigenti e la base si aggiravano sui temi già noti, che non riuscivano a rinnovare, pur sentendone l'insufficien– za. Anzi, le crisi interne del partito laburista, come le dimissioni di Bevan dal governo Attlee, avvenivano non su rivendicazioni nuove, ma vecchie, che gli uni accusavano gli altri di non rispettare sufficientemente. La stessa corrente hevanista, quando volle anda– re più in là - e questa considerazio– ne è tuttora valida, anche dopo la pub– blicazione dei N1101•i Saggi Fabia11i - non seppe fare altro che chiedere che si facesse un po" di più di quello che si era già fatto, più nazionalizzazioni, più dirigismo, più controlli, giungen– do fino a centrare il suo attacco sulla rivendicazione della nazionalizzazione della terra, con accenti apocalittici, co– me se all'attuazione del socialismo in Inghilterra non fosse mancato più aJ. tro che quello, quando la City è an– cora in piedi, l'industria meccanica è ancora privata, le grandi ditte d'im– portazione ed esportazione sono ancora private e così via. Eppure, qualcosa stava muovendosi nella società inglese trasformata dal laburismo; gli operai che, malgrado la popolarità dell'attacco bevanista, con– tinuavano a votare per i dirigenti sin– dacali di destra, contro l'estensione del– le nazionalizzazioni, non erano dopo tutto diventati « reazionari » da un giorno all'altro in seguito all'esperien– za laburista, non avevano rinunciato al socialismo, una volta attuate le loro esigenze minime. Che cosa stava avve– nendo? Che cosa volevano questi ope– rai da un socialismo già in cors9 di attuazione, che cosa volevano i lavo– ratori delle industrie nazionalizzate, che erano fra i piil scontenti, e che non vedevano nessuna differenza reale fra la gestione privata e quella pubblica? I N1101 i Saggi Fabia11i sono stati fat– ti da intellettuali che spesso hanno un profondo disprezzo per i capi sin– dacali e pretendono d'insegnare loro ad avere la coscienza di classe; e mentre non v'è dubbio che la maggior parte dei « bonzi » sindacali ha seriamente bisogno di farsi insegnare, se non il mestiere, per lo meno la dottrina so• cialista, da questi « borghesi • intellet• tuali, è altrettanto vero che questi lau– reati di Oxford e di C101bridge si preoccupano troppo poco di quello che avviene nelle fabbriche, con o senza il socialismo, anzi, meglio, nelle fabbri– che nazionalizzate dal socialismo: e qui sta forse il nucleo centrale della crisi del laburismo britannico, del con– trasto fra destra sindacale e sinistra politico-intellettuale del Labour Pari), in cui tutti hanno un po' ragione e tutti honno un po' torto: i sindacalisti, che si aggrappano alla gretta difesa corporativa, in mancanza di uno slan– cio programmatico fresco e fecondo; gl'intellettuali, che confondono l'esten– sione spesso massimalista dei program– mi antichi con un nuovo slancio pro– grammatico vitale. La del usione che si prova leggendo questi N 11oviSaggi Fabiani, preceduti da un'acuta prefazione all'edizione ita– liana di Leo Valiani, deriva dal fatto che non si trova niente di veramente nuovo; ma, detto ciò, conviene anche dire che si è fatto parecchio per siste• mare il pensiero antico, da quello dei vecchi fabiani a quello dei laburisti contemporanei, passando per il pen– siero dell'economista « borghese » Keynes; c'è anzi da domandarsi se quello che c'è di veramente vivo nello spirito laburista non sia proprio stata questa sua capacità a impadronirsi del– la parte più rivoluzionaria del pensie– ro economico moderno e a tradurla in politica concreta di governo. E c'è, d'altra parte, uno sforzo notevole per cercare di capire dove ci si tro"a, a che punto stiano il pensiero e l'azio– ne del socialismo inglese, dopo sei anni di governo laburista. Basta leggere, per esempio, il saggio di C.A.R. Crosland, sul passaggio dal capitalismo al regime post-capitalistico, in cui si cerca di elencare le caratteri– stiche che distinguono un regime socia– lista democratico (che l'A. definisce con espressione poco appropriata lo « stata• lismo ») da un regime burocratico e totalitario, per rendersi conto de, ri– sultati positivi di queste analisi. li Crosland ritiene che il capita– J ismo sia ormai costretto, nei paesi industriali progrediti, a lasciare il po– sto a una società nuova, che presenta otto caratteri fondamentali: « 1) I dirit– ti individuali di proprietà non costi– tuiscono più la base essenziale del po– tere economico e sociale... 2) li potere un tempo detenuto dalla classe dei pro– prietari privati si è largamente (sebbe– ne non totalmente) trasferito nelle ma– ni della classe dei managers... 3) Il potere dello Stato si è enormemente accresciuto... 4) li livello dei servizi sociali è oggi cosi elevato, che la so– cietà presente è spesso definita " Stato assistenziale" [IJYel/areState] .... 5) La tendenza è verso un'alta occupazione .... Le tecniche keynesiane sono state ben assimilate ... li laissez-faire cede il passo a quella che Hansen ha chiamato eco– nomia a doppia produzione e doppio consumo, cioè un'economia nella quale le decisioni relative sia alla produzio– ne che al consumo si dividono fra un settore pubblico e uno privato [e che li Partito d'Azione, in Italia, chiamava l'economia a due settori, facendosi trat– tare tuttavia da borghese dai socialisti ufficiali}... 6) La linea di sviluppo della produzione, e perciò del tenore di vita, è nettamente ascensionale ... 7) la struttura di classe della società è più che mai variegata ... Ne è in ,gran par– te responsabile l'ascesa (del tutto im- Cltmeot Attlee ha dettato la prefazione ai " Nuovi saggi fabiani prevista in Marx} della classe media dei tecnici e professionisti ... l'aumenta• sa meccanizzazione riduce continuamen– te le dimensioni della classe operaia strettamente di fabbrica .... 8) el campo ideologico, l"accento si sposta dai di– ritti di proprietà, dall'iniziati,a privata, dalla concorrenza e dalla spinta verso il profitto, ai doveri dello stato, alla sicurezza sociale ed economica, e alle virtù della collaborazione attiva». Non meno impressionante è la descrizione dell'altro successore del capitalismo, lo « stato burocratico », le cui caratteri– stiche sono, secondo il Crosland: « 1) proprietà statale dell'industria ... 2) centralizzazi6ne compkta della de– cisione economica... 3) potente classe di ma11agers ... 4) assenza completa di democrazia politica ... ». Austen Albu, nel saggio sull"orga• nizzazione dell'industria, si domanda quali sono gli obbiettivi che i socia– listi hanno voluto raggiungere median– te la proprieti1 pubblica: egli ritiene che essi abbiano voluto impedire lo sfruttamento, pianificare le risorse na– zionali in vista del pieno impiego, au– mentare la produttività dell'industria e ristabilire fra gli operai quel senso di partecipazione e di comunanza di lini che la società capitalista ignora. Ma le osservazioni che l' Albu fa su quest'ultimo punto, piuttosto marginal– mente, non sono esa'urienti. Varrebbe la pena soffermarsi su ognuno degli otto saggi che com– pongono questo volume, e in particolare sul primo, in cui R.H.S. Crossman, che ha curato la raccolta dei saggi, fa il punto su una filosofia del. so– cialismo. Se il loro intento era quello di superare la prima esperienza labu- · rista di governo, è difficile dire che l'abbiano esaurientemente realizzato, anche se hanno contribuito a porre i problemi di questo superamento con una notevole chiarezza. Ma come ri– flesso di un'esperi~za socialista in atto in un grande paese industriale mo– derno i N1101 i Saggi Fabiani rivela– no, anche se non sempre una profonc\.a dottrina, una grande esperienza uma– na, che è segno di una grande vita• lità del socialism_o democratico inglese. PAOLO l'ITTOIIELLI Auto1 ia. del T1ib. di Firenze n. 678 del 30-12-1952 Stabilimenti tipolitografici Vallecchi Firenze, Viale dei Mille, 90 Responsabile: Tristano Codig110la

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