Lo Stato - anno II - n. 23 - 20 settembre 1961

bi cale era obbligatorio per tutte indistintamente le categorie di lavoratori e datori di lavoro. Suc– cessivamente, con la abolizione del sistema cor– porativo, la obbligatorietà venne meno e i ten– tativi di conciliare controversie individuali furo– no esplicati nelle sedi degli Uffici Regionali del Lavoro in forma meramente facoltativa a discre– zioné degli interessati. Tuttavia in niolti con– tratti collettivi le nuove associazioni sindacali continuarono a stabilire, beninteso in rappresen– tanza dei soli loro iscritti e non di tutta la ca– tegoria, norme statuenti l'obbligo del preventivo tentativo di conciliazione in caso di ~ontroversie. Dunque il regime del tentativo di concilia– zione, prima della entrata in vigore della nuo– va legge e dei successivi decreti, si riassumeva in tre diverse situazioni: libero il lavoratore non iscritto ad alcun sindacato di espletare o meno il tentativo presso gli Uffici Regionali; ugual– mente libero negli stessi termini il lavoratore •iscritto ad alcun sindacato di espletare o meno tratto l'obbligo del tentativo di conciliazione; vincolato al tentativo di conciliazione il lavora– tore iscritto al sindacato che invece avesse con– tratto l'obbligo. Oggi, in virtù della nuova legislazione, i contratti collettivi post-corporativi come tali vincolanti solo per gli iscritti ai :relativi sinda– cati, vanno diventando a mano a mano obbli– gatorii per tutta una categoria settoriale, quin · di anche per i non isc:ritti. Il vincolo naturalmente si fa imperativo o– ve sia previsto anche per quanto riguarda il tentativo di conciliazione. E' a questo punto che nasce un problema di impossibile soluzione. E riguarda naturalmente il lavoratore non iscrit– to a sindacati. Questo prestatore di lavo:ro è in controver– sia col suo datore per competenze non corrispo– ste. Non può farsi attore in, sede giudiziaria se prima non esperisce il tentativo di conciliazio– ne sindacale. Ma il sindacato, eventualmente invocato, poiché egli non risulta iscritto. non può rappresentarlo in sede di conciliazione. In- Lo STATO '-''-' ~inobianco fine: il lavoratore non può agire nè in sede giu– diziaria nè in sede sindacale. Rimarrà dunque senza tutela? La cosa può divenir semplice se il lavora– tore sceglie la iscrizione ad uno dei sindacati esistenti. Ma in questo caso dove sarà mai an– dato a seppellirsi il principio della libertà sin– dacale, che, ovviamente, consente la piena pos– sibilità ai cittadini di associarsi in sindacati non solo ma anche di non associarsi ad alcuno e di rimaner libero? Da qualunque parte si ri– miri una tal situazione risulta abnorme che u– no Stato che costituzionalmente dichiari piena libertà di non riempire schede e prender tessere poi per altra via costringa il cittadino ad im– brancarsi contro voglia per poter tutelare un suo diritto. Ci viene spontaneo il paragone con l'URSS. Lì ad esempio esiste la libertà di stampa, ma per stampare occorre avere il permesso e la car– ta dai sindacati comunisti, cioè stampa:re cOTTIJU– nista, il che vuol dire che non esiste libertà di stampa. Ma il problema non si ferma alla ipotesi innanzi prospettata. Sorgono nuovi interroga– tivi. E se il sindacato, associazione di fatto as– solutamente libera, rifiuta (e può farlo legitti– mamente) l'iscrizione al lavoratore che ne ab– bia fatta richiesta in vista del tentativo? Pro– prio nessuna via d'uscita dovrà rimanere al la– voratore anche che abbia a malincuore china– ta la fronte? Allo stato la legge, così com'è, non con– sente soluzioni. Nè pare che le soluzioni possa– no veni:re immediatamente da quel pizzico di buon senso che non manca mai alla magistra– tura. Occorrerebbe che una nuova solida legge sindacale disciplinasse tutta la :materia dando certezza e chiarezza al diritto. Per far ciò sareb– be però necessario un alto concetto dello stato e la totale assenza di interessi particola:ri nel Legislatore, beni questi che si sono fatti, e fin troppo, rari. SILVIOVITALE

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