Lo Stato - anno II - n. 23 - 20 settembre 1961

t ciò l'etica rimane al centro della filosofia della politica e tutto viene ricondotto alla dialettica della legge e della libertà, e all'alternativa della virtù e del vizio. A questo livello diventa conciliabile ciò che sul piano della filosofia materialista risulta in– teramente contraddittorio. Qui l'ordinare ogni a– zione al bene comune non è collettivismo: ed il porre a principio dello svolgimento storico e ci– vile la libertà umana non crea l'individualismo. Al centro della dottrina sociale cristiana, abbiamo detto, sta la dialettica tra legge e li– bertà. Diciamo dialettica perché è ben chiaro che ci troviamo di fronte a due realtà correlati– ve l'una all'altra, necessarie l'una all'altra. S. Paolo ha descritto con potenza inarrivabile que– sta dialettica: ed i due termini sono nella vi– sione cristiana trascesi appunto nel Cristianesi– mo, nella Rivelazione, che ci ha insegnato la Carità soprannaturale, in cui legge e libertà fan– no una cosa sola. La legge non è abrogata o ri– solta ma adempiuta perdendo solt.anto .il suo ca– rattere di precetto esterno e diventando la stessa vita interiore della nuova creatura. Nella vita sociale, in cui l'ordine della nuova creatura fa sentire più lentamente la sua influenza (ma in modo crescente e vittorioso), siamo in pieno nel– la dialettica naturale di legge e di libertà. La li– bertà trova le sue possibilità creative nel qua– dro della legge naturale in primo luogo e di quella positiva successivamente. Primato della legge Ecco dunque questo primato della legge che fu l'ideale comune della cultura classica, espres– so stupendamente da Platone e precisamente da Aristotele, ripreso dal pensiero romano che vi colse l'anima della tradizione dell'Urbe, infine rinnovato e reintegrato dal pensiero cristiano. Così lo esprime la Mater et magistra, relativa– mente alla questione sociale moderna, ripren– dendo le tesi della « Quadragesimo anno » e con– densandole in due principi fondamentali: I) Non si può assumere come criterio supre– mo delle attività e delle istituzioni del mondo economico l'interesse individuale o di gruppo, nè la libera concorrenza, nè il predominio economi– co, nè il prestigio della nazione o la sua potenza o altri criteri simili. JO ecaginobianco II) Ci si deve adoperare per dar vita ad un ordinamento giuridico, interno ed internaziona– le, con un complesso di stabili istituzioni, sia pubbliche che libere, ispirato alla giustizia so– ciale, a cui l'economia si conformi, così da ren– dere meno difficile agli operatori economici svol– gere la loro attività in armonia con le esigenze della giustizia nel quadro del bene comune. Il concetto dunque principe della dottrina sociale cristiana è quello di legge, naturale e po– sitiva, come fondamento della pièna espansione della persona umana e del creativo esercizio del– la· sua. libertà. Da qui nasce la doppia riprovazione dell'in– dividualismo e del collettivismo, del liberismo e del socialismo, considerati non soltanto nella lo– ro impostazione filo!:ìoftca,ma anche nelle con– crete conseguenze sociali di essa: l'anarchia eco– nom,ica e la concentrazione poi, cioè il d'Ominio del danaro, la plutocrazia, da un lato, il tiranni– co dominio del pubblico potere, unico soggetto veramente libero che postula una soggezione as– soluta della società civile (totalitarismo) dall'al– tro. Dinanzi al nuovo esame della socializzazio– ne, la «Mater et magistra)) reagisce riproponen– do la soluzione originaria della dottrina sociale– cristiana, che la Quadragesimo anno aveva cosi mirabilmente espresso: e cioè la richiesta di sta– bili istituzioni economriche, non subordinate al– lo Stato, nè mera cosa in mano del capitale pri– vato, ma aventi natura e sostanza di vera com,u– nità: «Riteniamo necessario che i corpi inter– medi e le molteplici iniziative sociali, in cui an– zitutto tende ad esprimersi e ad attuarsi la so– cializzazione, godano di una effettiva autonomia nei confronti dei pubblici poteri, e perseguano i loro specifici interessi in rapporto di leale col– laborazione fra essi, subordinatamente alle esi– genze del bene comune. Ma non è meno necessario che detti corpi presentino forma e sostanza di vere comunità: e cioè che f rispettivi membri siano in essi con– siderati e trattati come persone e siano stimo– lati a prender parte attiva alla loro vita. Qualora la socializzazione si attui nell'ambito dell'ordine morale, secondo le linee indicate, non importa, per sua 1?-atura,pericoli gravi di compressione ai danni di singoli esseri umani: e si concreta pure

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