Lo Stato - anno II - n. 12 - 30 aprile 1961

non potrà risolversi restituendo alla cam– pagna una parte di popolazione delle metropoli (appunto perché - avverte Hellpach - si tratta di tipi umani con– formati per vivere soltanto nelle grandi città). Si può solo cercare di migliorare il modo di vivere di questi metropoli– tani. L'autore si dilunga pertanto nell'esa– me dei fattori che concorrono a forma– re l'esistenza ambientale dell'uomo me– tropolitano: fretta, indifferenza per i propri simili, rumore, livellamento, mancanza della natura intesa come spa– zio vitale, sostanze che inquinano la atmosfera, e tutto ciò che - purtroppo - sapevamo prima che ce lo indicasse Hellpach. Per lo studioso tedesco la me– tropoli rappresenterebbe comunque la libertà d'azione, il rischio, l'avventura, ma sopratutto la « chance », la grande -- e unica possibile - occasione. Per– tanto le campagne sarebbero abitate da gente restie a tentare il proprio inseri– mento nelle grandi città (e questo per– ché si tratterebbe di gente appartenente ad un tipo inferiore cli ominide); men– tre le metropoli avrebbero il compito di raccogliere e conservare gli individui appartenenti ad una specie eletta, che l'autore chi«ma addirittura razza. E quindi il Busso di immigrazione nelle grandi città sarebbe composto in asso– luta maggioranza degli elementi più attivi. Ora per noi, se è vero che nelle metropoli affluiscono individui spiritual– mente attivi e ambiziosi, è pur vero che vi affluiscono in egual misura individui scansafatiche e ignoranti. Le prostitute, per esempio, che a decine di migliaia calano incessantemente nelìe metropoli e vi si stabiliscono permanentemente, i viziosi di ogni genere, gli avventurieri di ogni risma. E come e dove e perché si è formata a quel modo quella gente, da risultare ora simile in tutto alla cor– rispondente pattuglia della medesima risma che invece si è formata nella me– tropoli? Hellpach, è vero, ad un certo punto si chiede se, piuttosto di una particola– re specie umana che ricerca la metro– poli, debba dirsi che sia la metropoli a fare di ogni individuo che le si accosta un qual cosa di particolare e diverso da quello che era; e se pertanto sia la metropoli a formare l'uomo metropoli– tano. O sennò - Hellpach butta pure questa carta che evidentemente consi– dera l'ultima per vincere la partita - se siano gli orientamenti spirituali (e non solo gli impulsi ambientali e le modificazioni dietetiche), ai quali orien- 28 bibliotecaginobianco tamenti spirituali la metropoli spinge, educa, costringe. Ora a noi non risulta affatto che nel– la metropoli, piuttosto che nella piccola città oppure nel contado, ci sia un mag– giore e differente scadimento di valori morali. Ci risulta invece che - ruat Coelum, fiat Justitia - lo scadimento di valori morali e spirituali sia presso– ché uguale dappertutto, e nelle metro– poli e nei centri minori; e questo grazie all'uso irresponsabile (che però, si con– solino i legittimisti, è permesso e tute– lato dallo Stato) di canali fitti - radio, televisione, editoria, cinema, teatro - che annunciano la « buona novella » dei nostri tempi all'uomo medio dei nostri tempi, viva egli a Milano come a Pero– piccolo. I deragliamenti morali di massa, cui accenna Hellpach (e li giustifica soltanto con la troppo repentina eman– cipazione di scienza e tecnica, il che è troppo poco), non toccano soltanto l'uomo della metropoli, ma ciascun cit– tadino dello Stato, poiché è solo per la carenza dello Stato se questi deraglia– menti avvengono; ed è per le odierne velocissime comunicazioni se questi de– ragliamenti si propagano e minacciano ogni cittadino, magari violentando la sua personalità. A parte ogni quantificazione aritme– tica (viviamo in un mondo di cifre aride) che - deve ammetterlo pure Hellpach - risulta spesso inadeguata, e specie nelle scienze biologiche e spesso in quelle sociologiche, e pertanto non ci impressiona, dobbiamo decisamente rilevare che l'uomo della metropoli non esiste, preso a sè e differenziato dal re– sto dell'umanità. Esistono invece gli in– flussi degenerativi; esiste purtroppo una propaganda corale al di sopra (ma non troppo) degli uomini; una propaganda costituita in sistema leibnziano perfetto di interessi morali e materiali che - probabilmente - opera meglio sopra gli abitanti dei grandi centri, ma non per questo trascura gli abitanti dei cen- tri minori. GLAUCOLrcATA Disegni italiani del '600 In occasione della visita ufficiale della regina d'Inghilterra, nelle sale di Pa– lazzo Venezia è stata allestita una mo– stra di disegni di artisti italiani, ap– partenenti alle collezioni di Windsor. Si tratta, contrariamente a quanto possa far pensare il titolo troppo gene– rico della mostra, di soli cento disegni di artisti romani del Seicento (o che lavorarono a Roma in quel periodo), tutti - tranne pochissime eccezioni - provenienti dalla favolosa collezione che il cardinale Albani, nipote di Cle– mente XI iniziatore della raccolta, ven– dette nel 1762 a Giorgio III d'Inghil– terra, con grande rammarico del suo bibliotecario Winckelmann. E non è dif– ficile notare nel volto dei visitatori più esperti - i quali sanno che la colle– zione di Windsor comprende un nu– cleo importantissimo dei disegni di Leo– nardo - la delusione per l'assenza dei suoi schizzi e dei suoi studi, tra cui quelli famosi del Cenacolo. Purtroppo bisogna adattarsi alla realtà e cercar di capire le diverse ed ovvie ragioni che hanno fatto cadere la scelta sui disegni suddetti e determinato «l'esclusione» di Leonardo. In compenso - bisogna riconoscer- lo - la scelta è stata sagace e giudizio– sa. A cominciare dal Bernini (si vedano i due autoritratti - dubbio quello gio– vanile -, i due begli angeli inginoc– chiati e i fantasiosi e superbi progetti di fontane) fino allo schizzo per « L'im– posizione del velo a S. Flavia Domi– tilla » del De Pietri, in penna bistro ed acquarello, ci troviamo (fatta qualche rara eccezione) di fronte ad autentici capolavori che ci ricordano i nomi di artisti come Annibale Carracci, Borro– mini, Grechetto, Domenichino, Baciccio, Lanfranco, Maratta, Mola, Pietro da Cortona, Sacchi, Sassoferrato. Tutti pit– tori, scultori e architetti che lavorarono a Roma durante il sec. XVII. Così, do– po la mostra dei paesisti francesi, que sta di Palazzo Venezia può essere con– siderata un altro omaggio alla città di Roma di cui si celebra e si riconosce, anche in questa circostanza, l'alto va– lore civile morale. Accanto ai nomi dei più noti (nel catalogo si parla anche del Gentileschi, del Reni e del Sacchi ma con incertez– za) vanno ricordate le opere più signi– ficative: l'autoritratto di Annibale Car– racci (cat. n. 23) a matita nera su carta grigia, lumeggiato di biacca, di un po-

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