Lo Stato - anno II - n. 11 - 20 aprile 1961

I e la • • cr1s1 totem della antireligiosi società laica Il vuoto e l'angustia nel cuore dell'uomo moderno sono un segno del «muro sociale» posto fra l'individuo e la trascendenza di Dio. Una malinconica testimonianza Nella tormentosa lotta per arginare il comunismo queila corrente neocapi– talista che vuol farsi « sistema » è sem– pre più costretta ad una radicalizzazio– ne laica, cioé ad accentuare il proprio contenuto antireligioso. Non c'è dubbio che sul piano della concorrenza al mar– xismo questa accentuazione sia inevi– tabile: posto che il marxismo è una mi– stificazione della religione (e cioé del cattolicesimo) chi vuole contrastarlo senza concedere nulla all'oscurantismo, ha una sola via: il rovesciamento siste– matico dei principi della vera religione. La netta, sconfortante sensazione del– l'obbedienza ad una tale logica trova ul– teriore conferma nella pubblicazione, a cura detI seminario laico di « Comuni– tà», di un'opera dal sintomatico titolo cii « Eclissi del sacro nella civiltà indu– striale », opera di Samele Sabino Acqua– viva. L'opera ha per sottofondo la grande proposta di una religiosità laica, senza superstizioni e senza comunismo, all'in– segna dell'umanesimo industriale che - per usare un cliché caro all'autore - migliorando costantemente l'essere nel mondo, lotta con transitoria efficacia contro ìa morte. E se il comunismo è «morte» questa efficacia, prima che ironica, è veramente transitoria: a si– mili posizioni infatti manca il fascinoso senso del tragico che è tipico dell'ideo– logia marxista, manca il mito e manca una risposta decisiva all'assidua ed in– quietante domanda dell'uomo moderno. La non effettualità, prima che la non idealità di certe posizioni balza ancor meglio dall'analisi dei giudizi sul con– tenuto e sullo sviluppo dell'esperienza religiosa. La definizione che Acquaviva dà dei movimenti religiosi gli è in comune col Mumford e fonda sul presupposto della storia umana come lotta contro la morte.· La •«morte » intesa come « non-vita » nel più materiale dei sensi, per cui anche l'esser scomodo nel mon– do è « morte ». Tutta la storia dell'uo– mo non è che l'urgere dell'uomo con- Lo STATO bibliotecaginobianco tro questo «muro». E questa lotta tro– va espressione nel simbolo religioso: il progresso. è progresso della .religiosità. Naturalmente se la dinamica del sim– bolo religioso esprime la dinamica della creatività, questa è quella debbono di– stendersi in una rete di rapporti, e que– sta è propriamente la società. Quindi ogni teoria religiosa presuppone un «sottofondo» sociale che la condizioni: al variare del contesto sociale varia anche .Ja multiforme trama delle dot– trine. E' evide11teil traguardo di simili definizioni: l'intrecciamento di religione e socialità e lavoro, cioé un determini– smo .che trova nella società il suo svol– gimento e nella « religio » il suo indice. Posti in tal modo i principi della di– namica delle religioni nella storia !'Acquaviva cerca di ,rilevare, in con– formità ad essi, il quantum della desa– cralizzazione nei tempi moderni. Così il fatto che le statistiche registrino il decrescere della religiosità con l'aumen– to di età, il progresso degli agglomerati urbani, il diffondersi dei ruoli tecnici è posto in relazione con una complessa dmamica delle civiltà, che ad un certo punto cancellerebbe naturalmente ogni residuo di religiosità. Noi contestiamo il parametro socio– religioso, per cui la religione nell'ordi– ne civile si misura sul devozionalismo: questa metodologia nega infatti l'esi– stenza di due piani distinti (quello del– la trascendenza e quello della legge di natura) e non riesce a cogliere il senso storico della religiosità, il suo « quan– tum» sociale che è nella scelta civile dello Stato. Nella sfera civile la presen• za o l'eclissi del vero senso religioso è nell'alternativa che lo Stato sceglie: ora perché siano poste le condizioni di li– bertà materiale e sociale necessarie al– l'uomo per divinizzarsi religiosamente, ora perché questa libertà sia tolta e so– stituita con l'obbligo di una falsa infi– nità da realizzarsi sulla linea della sto– ria e della collettività. Neilo stato mo– derno non è quindi da vedere se è in crisi il « quantum » della devozione ma se lo Stato pretende di sostituire quel « quantum , con suoi propri valori lai• ci: e ques·ta ricerca deve interessare la sociologia religiosa, non l'indagine in• torno all'esperienza dei singoli verso la divinità, che mai può essere afferrata da una S<;ienzapositiva. Posta la coincidenza di estrema ci– vilizzazione ed estrema desacralizzazio– ne è ovvio che la logica che presiede alla « perdita del sacro » sia il prodotto di un falso problema e di un giudizio arbitrario. Arbitrario è infatti è consi– derare il « sacro » come sentimento « nu– minoso», soggezione psichica dell'uo– mo dinanzi alla natura e ai suoi feno– meni: falso· problema è quello che con– sidera antinomici l'autentico senso della religione (che è fede nella trascendenza di Dio) e l'emancipazione dal « numi– noso » attraverso la scienza e le tecniche umane. E' naturale, infatti, che l'esplicarsi della creatività umana dis– solva il sentimento del «numinoso> ma questo non è l'autentico sacro. Non stupisce dunque il pessimismo delle conclusioni. « E' evidente che l'u• manità è entrata in una fase della sua esistenza in cui non sembra esserci po– sto per il sacro, in una lunga notte in cui per quanto scrutiamo le. tenebre non scorgiamo la fine e che con il pro– cedere delle generazioni si fa sempre più oscura, in guisa tale che non sap– piamo più se in qualche luogo esiste veramente o è mai esistito qualche cosa di diverso». Le conclusioni tradiscono il contenu– to tutto negativo dell'opera, che sarebbe da allineare coi più classici prodotti della cultura laica se non vi fossero, quà e là, talune considerazioni - la– sciate a mezza via forse per un'incon– sapevole resistenza ai ritorni dell'oscu– rantismo - e che contengono i semi di una critica interna alla laicizzazio– ne della società m~derna. E' ad esempio significativa .Ja parte in cui !'Acquaviva analizza il « poter riflettere » come condizione del totali– tarismo religioso dei primitivi. Questa condizione era posta dall'atteggiamento stesso deU'uomo delle prime culture, dalla sua quasi-inerzia; mancanza di at– tività che è non-esplicazione della crea– tività naturale. La civiltà, invece, è il graduale svin– colamento della creatività umana: agi– re che privando la riflessione di « tem– pi » sempre maggiori, annulla lentamen– te la condizione e quindi il senso della religiosità. Risultato ultimo di questo processo l'industrialismo: sviluppo mas- 23

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