Lo Stato - anno II - n. 9 - 30 marzo 1961

bi « Diario » di occultare il proprio indi– vidualismo dietro le solite parole ad effetto (come tolleranza, umanità, con– cordia, pace, etc.) con le quali uomini tipo Brancati hanno sempre tentato e sperato di mutare sembianze e di pre– sentarsi sotto aspetti a loro estranei. Nella realtà, dunque, Brancati fu intol– lerante e, fanatizzato ed accecato dai suoi istinti individualisti, si dimostrò pronto a togliere la parola e, magari, anche la lingua a chi non la pensa– va come lui. Per Brancati ogni uomo che aveva idee diverse dalle sue era « uno sciocco, un cervello triviale » e andava perseguito moralmente. li « liberale progressista » Brancati o– diava ogni ordinato sistema di pensie– ro, nutriva disprezzo per chi mostrava di avere chiari e organici principi d~ Yita ed amava, invece, i perennemente turbati, gli amanti delle situazioni con– fuse. Ciò premesso, il suo anticristianesimo appare ovvio, scontato. li cattolicesimo era il nemico giurato di Brancati. Ver– so la Chiesa non nascondeva un senti– mento di insofferenza. La sua ostilità non si limitava alle supreme Gerarchie religiose, al Papa ed ai Cardinali, ma raggiungeva il modesto curato ed anche il giovane prete appena uscito dal se– minario. Il cattolico militante era agli antipodi dell'individuo - Brancati che, per le sue limitatissime aperture spiri– tuali, avrebbe dato ]'ostracismo a chi si rivelava animato nell'azione da una fede ferma e profonda. Egli era ]'uo– mo del dubbio, della metodica incer– tezza, della ricerca per la ricerca, sen– za orientamenti e senza mete, Il suo ;,:iricristianesimo fu, così, furente da spingerlo a gioire per la bestemmia con– tro Nostro Signore pronunciata duran– te una seduta della Costituente del de– funto Calosso. Naturalmente, Brancati non poteva non guardare con interesse al partito comunista e non prendere le sue difese quando veniva attaccato. E' di Bran– cati la definizione del p. c. i. come di « un partito piuttosto patetico 1, (sic!). Era il tempo in cui Togliatti teorizza– va sul « partito nuovo» e sul comuni– smo, legittimo erede delle « tradizioni liberali del risorgimento». Era il tempo in cui Togliatti riscuoteva applausi quando, parlando di Gramsci, non per– de,·a occasione per far riferimento a Croce ed a presentare quello come un « nipotino,> di questo. Per i « liberali– progressisti 1, il partito comunista, i] partito cli Grarnsci e di Togliatti, era l'espressione di una concezione politi– ca moderna e, quindi, andava appog– giato. Brancati, pur non essendosi mai spinto all'adesione ed avendo, anzi, di tanto in tanto, avanzato riserve, se la prese con chi aveva sottolineato fin dal– l'inizio iì pericolo del comunismo e rnl– le, perfino, aureolare il p. c. i. di un ;ilone romantico parlando di un « tra– vaglio » spirituale che nessun comu– nista certamente aveva. Erano i tempi - non si dimentichi - ciel pit1 duro dogmatismo staliniano. Erano i tempi in cui socialisti, comu– nisti e generici progressisti si muove– vano uniti, certi nella imminente pa• lingenesi cli tutta l'umana società. Brancati, non diversamente da mol– ti suoi amici, fu un « acomunista » che per il suo anticlericalismo, per la sua negazione della morale tradizionale, per il suo rifiuto di ogni idealità di coesione nazionale, giovò alla propa– ganda del p. c. i. più di tanti suoi atti– visti. Del resto, anche nel linguaggio, Brancati rnlle adeguarsi alla terminolo– gia socialistoide e paramarxista, ricor– rendo alle demagogiche « tirate >>con– tro i ricchi e a farnre degli « umili e degli oppressi, ultime ruote del car– ro sociale >>. • Ma in ogni pagina, ad ogni nota di questo « Diario» i] lettore resta scon– certato dinanzi alla smisurata presun– zione di Brancati. Egli getta addosso a tutti i suoi giudizi che formula con l'a– ria di ehi si decide a parlare dopo aver molto riAettuto. Una presunzione, pe– rò, che alla fine non può non muover– ci alla misericordia. I suoi amici, certo, non saranno d'accordo con noi: ma Brancati non fu e non è un maestro; non fu un fustigatore di costumi, ma soltanto un uomo privo di carità cri– stiana, chiuso alla speranza. FAUSTO BELF!ORI Un inedito di Dino Campana Dino Campana visse fra il 1885 e il 1932, ma gli ultimi quattordici anni li passò nel manicomio di Castel Pulci : fu infatti internato il 28 genn;iio 1918, mentre ancora infuriava Ja guerra. La sua vita fu un susseguirsi ininterrotto di sofferenze, con il male sempre in agguato, che Io rendeva incapace di fermezza e di distensione, per cui vagò incessantemente da Tarradi, ove era na– to e dove il padre insegnava, per l'Ita– lia, in molti paesi europei, in Argen– tina ove si recò nel 1908 esercitando vari mestieri per vivere, restandovi solo pochi mesi. Un amore gli si conosce, quello per Sibilla Aleramo, ma nep– pure ad esso potè ancorarsi, sicchè ben presto ]a scrittrice dovette allontanarsi da lui, dopo scene tempestose e dolo- 28 caginobianco rose che ferirono e prostrarono en– trambi. Pure, nell'urgere di questa drammatica esistenza, il senso ed il pensiero dell'arte furono in lui sempre presenti, ed egli considerò la sua poesia con una specie di pena, con il dolore cosciente di essere chiamato ad eserci- tarla e di non potere per Ja crudezza del destino che Io aveva voluto malato della più terribile ed angosciosa malat– tia. Alla poesia il Campana si prepara– va, seguendo l'attività delle correnti ;ù– Jora più vive in Europa, dal simbolismo al decadentismo; si avvicinò al gruppo della Voce e di Lacerba, e grande fu la sua disperazione allorchè Ardengo • Soffici perdette il manoscritto dei Can- ti Orfici: dovette riscriverlo a memo– ria, pagina per pagina. 1n compenso collaborò con Lacerba, pubblicandovi alcune delle liriche del suo volume. I1 suo amore per Ja poesia è palese per– fino nei rapporti che egli ebbe con i let– terati d'allora, da] Cecchi al Novaro, da Soffici a Papini. Veemente e impul– sivo per carattere e per Ja malattia, quando egli offre Ja sua opera è di una umiltà dolorosa, si fa piccolo, prega con le Jagrime che compaiono fra parola e parola. Scriveva al Prezzolini « Io sono un povero diavolo che scrive come sen– te : lei forse vorrà ascoltare. lo sono quel tipo che Je fui presentato dal si– gnor Soffici all'esposizione futurista co– me uno spostato, un tale che a tratti scrive delle cose buone. Scrivo novelle poetiche e poesia; nessuno mi vuole stampare e io ho bisogno di . essere

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