donne chiesa mondo - n. 72 - ottobre 2018

DONNE CHIESA MONDO 40 esempio vincolante per ogni autorità nel piccolo gregge e mettendo in luce l’illusione che c’è die- tro la domanda: la vita non dipende dai beni che abbiamo. E così ci insegna a interrogare i nostri desideri per discernere quelli fasulli, che ci illudono soltanto di aumentare la nostra vita. Qui Gesù rivela, per chi voglia seguirlo, un’impietosità del Vangelo per i discepoli e le discepole: mai il Vangelo difende un qualche diritto di chi segue Gesù, e questa è la condi- zione della libertà. Anzi, tutto il Vangelo è un ribadire, confermando e approfondendo le dieci parole di Dio a Mosé, che la volontà di Dio coincide sempre, per il credente, con il diritto dell’altro e non con il suo. «A chi ti chiede di fare un miglio, tu fanne due con lui; a chi ti to- glie del tuo, non richiederlo» (cfr. Matteo 5, 41). Il Vangelo non conferisce alcun diritto a chi se- gue Gesù, neppure di essere aiutato a fare il be- ne; come quando Marta disse a Gesù: «Di’ a mia sorella che mi aiuti» (cfr. Luca 10, 40), e il Signore non l’ha esaudita. Il Vangelo ci chiama a responsabilità verso gli altri e il mondo, e dunque alla resistenza contro l’ingiustizia fatta ad altri, non a noi soltanto. Poiché, e questo è il non detto, il discepolo di Gesù ha già ricevuto tutto nella sua parola, tutta la sua porzione di eredità, e non manca di nulla. Gesù esorta a tenersi lontani da ogni cupidi- gia, dall’idolatria del possedere. La nostra vita non dipende da ciò che possediamo. Dipende piuttosto dal rapporto con ciò che ci manca. Il mancare, che è congenito alla condizione uma- na, non si risolve possedendo, perché sempre ci mancherà un essenziale. Ed è proprio l’illusione di ottundere la mancanza che ci spinge al pos- sesso. Poco dopo Gesù dirà: «Chi di voi, per quanto s’affanni, può accrescere la propria vi- ta?» (cfr. Luca 12, 25) svelando che la brama di possedere è una brama, un affanno deviato. Non potendo ciò che vorremmo, ci illudiamo di risarcirci con il possedere dei beni. Ma la ric- chezza non si occuperà affatto di noi, anzi, ci fa schiavi della sua necessità congenita di accre- scersi sempre di più. Il nostro umano mancare, con il relativo affanno, se lo comprendiamo alla luce sapiente e onesta delle parole e della vita di Gesù, può mollare la presa possessiva e angosciosa su per- sone e cose, e invece di preoccuparsi di avere e di averi — come l’uomo stolto della parabola — occuparsi di condividere ciò che si è e si ha. Al- trove Gesù dice che la giustizia è l’amore dei poveri, ci chiede di vendere i nostri beni e darli a lui. Qui Gesù dice un’altra cosa: che la verità umana stessa rende inutile e nocivo il darsi da fare per possedere. Infatti, la preoccupazione per ciò che abbia- mo in più del nostro bisogno e per la sua con- servazione va ad aggiungersi a quella per ciò che continua a mancarci. Proprio come per quell’uomo stolto di cui Gesù ci parla: la preoc- cupazione di distruggere i vecchi magazzini e la necessità di costruirne di nuovi non gli concede di parlare oggi, e ogni giorno, alla sua anima invitandola alla gioia. Il possedere ci fa procra- stinare tutto l’essenziale della vita e della comu- nione con gli altri, come quel povero ricco stol- to che gli altri non li nomina neppure, perché beni e non persone riempiono il suo orizzonte e il suo specchio.

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