donne chiesa mondo - n. 65 - febbraio 2018

DONNE CHIESA MONDO 40 viscerale che lo coglie nel vedere uomini che camminano senza orientamento, che non sanno distinguere la destra dalla sinistra (cfr. Genesi 4, 11) e ai quali, per andare loro incontro, Dio ave- va inviato un profeta. A queste stesse moltitudini, quale segno grande dell’amore che prova per loro, Gesù do- nerà se stesso, il suo stesso corpo nel grande mistero dell’eucarestia, profezia dell’evento della sua croce e resurrezione. Proprio perché ama, dunque, Gesù, quale se- gno della sua compassione, insegna. Gesù «si sedette» ( Matteo 13, 1), posizione del maestro; e lo fa di sua iniziativa, senza alcuna richiesta, quale risposta a un’attesa che egli legge, a un bisogno non verbalmente espresso, ma esisten- zialmente provato da coloro che lo seguono. E Gesù, quale segno del suo amore, parla, poiché così aveva sempre fatto Dio, del quale egli stes- so è la Parola definitiva (cfr. Ebrei 1, 1-2). Gesù agisce come il Padre, compie le stesse opere poiché da lui egli ha imparato (cfr. Giovanni 5, 19), a lui rivolge sempre il suo sguardo (cfr. Gio- vanni 1, 18), della sua intimità egli vive (cfr. Gio- vanni 16, 31) e da lui trae le stesse parole che, quale dono che egli stesso ha ricevuto, dona a sua volta agli uomini (cfr. Giovanni 12, 49-50). Come il Padre, Gesù nel parlare si consegna, fa dono di se stesso, e dunque l’ascolto della sua parola è anzitutto accoglienza della sua per- sona e della sua volontà di comunione con ogni uomo. E proprio per questa sua grande compassione per gli uomini Gesù parla in parabole. Quanta condiscendenza da parte del Signore! La para- bola è un segno di misericordia, di rispetto per la fragilità dell’umana creatura, alla quale Gesù non vuole imporre un peso troppo grande, un peso di una rivelazione che la schiacci e di fron- te alla quale essa possa non trovarsi nella libertà di rispondere sì o no. Gesù ha coscienza e cura della debolezza e fragilità umane, e a esse ade- gua anche la propria predicazione, sia con l’at- teggiamento — si siede, in silenzio, in riva al mare, senza invitare lui stesso le folle, senza im- porsi, ma prende l’iniziativa e poi aspetta, atten- de e infine accoglie — sia con le parole, median- te la delicatezza del parlare in parabole, affin- ché ciascuno possa comprendere a seconda delle sue capacità (cfr. Matteo 13, 9), a seconda di quanto il Padre gli avrà donato (cfr. Matteo 16, 17), e a seconda anche di quanto ciascuno avrà accettato di far spazio alla parola che Gesù an- nuncia (cfr. Matteo 19, 12). Anche nell’annuncio, così, Gesù non è prota- gonista, ma fa obbedienza agli uomini, al Padre, alla potenza stessa della parola che gli è stato affidato di trasmettere. E così la prima parabola che Gesù proclama è la parabola di un seme che viene gettato, del seme della Parola (cfr. Matteo 13, 19) che viene offerto, donato e conse- gnato perché porti frutti di vita in coloro che l’accolgono con gioia e gratitudine. Ma noi — e forse questo è il non-detto di questo testo — sia- mo consapevoli dell’immenso dono ricevuto? Pieter Bruegel il Vecchio, «Paesaggio con la parabola del seminatore» (1557)

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