donne chiesa mondo - n. 53 - gennaio 2017

DONNE CHIESA MONDO 40 crudo dolore che ogni spirito impuro che è in noi ci procura, umiliando in noi il desiderio più profondo, che è proprio il desiderio dell’altro. Questo rifiuto è sostenuto in noi da una cattiva conoscenza dell’altro, che non procede dall’ascolto e dall’incontro ma la precede e la impedisce, non rispettosa del mistero di sé e dell’altro. Una conoscenza che, per autodifesa, cerca e trova subito la debolezza dell’altro per possederlo e ricattarlo. E dove, infatti, Gesù è più disarmato, più vincolato alla mitezza e all’umiltà che nella sua verità di uomo santo di Dio? Come Gesù, a questa conoscenza violenta dell’altro non dobbiamo prestarci, perché non creerà mai comunione. Chi si percepisce posseduto e agito, non rie- sce neppure a immaginare altro rapporto che non sia il possedere e agire l’altro a sua volta: che è esattamente il contrario della relazione d’amore. La vocazione umana non è mai e poi mai quella di essere posseduti: neppure da Dio. Infatti il Signore con la sua parola ci libera proprio dallo spirito di schiavitù, perché possia- mo appartenergli nella libertà. La nostra adesione al Signore è lo spazio in cui il nostro Dio ci chiama a diventare suoi partner nell’alleanza con lui e con gli altri, ri- chiamandoci a essere ascoltanti e parlanti, e non sordi e parlati, donandoci la libertà e quindi la responsabilità, la possibilità e la capacità di ri- spondere. Di fronte a questo pover’uomo posseduto Gesù rivela e adempie la santità di Dio come infinita capacità di comunione. Davanti a chi si appella all’estraneità da lui, Gesù non si dimo- stra estraneo. Sa che proprio nulla, neanche il nulla, può separare una creatura dall’amore di Dio che l’ha creata. E dà corpo a questa verità di Dio: con la potenza della sua parola si rivol- ge allo spirito impuro che sfigura quell’uomo, gli ingiunge il silenzio e poi lo caccia. Gesù affronta la disperazione di quest’uomo, non esaudisce la sua richiesta ma quella più profonda e inespressa che sta dietro. L’evangelo non tace la fatica e il dolore che sopportò quell’uomo nell’essere liberato dall’iso- lamento, dall’inesperienza di ogni comunione che era la sua condizione. Ma l’incontro con Gesù rivela che quello non era il suo destino, come non lo era l’Egitto per gli ebrei. Per Gesù nessuno è destinato all’estraneità da lui: la voca- zione di Gesù è proprio la riconciliazione con se stessi e con Dio di tutte e di tutti. Mentre gli siamo nemici, e ci appelliamo all’estraneità da lui e dagli altri come alla nostra sola consistenza, Gesù ci viene incontro con la sua presenza, la sua parola, ci dichiara, restan- do, la sua impotenza all’estraneità da chiunque, anche da me. Quell’estraneità nostra, che è estraneità da noi stessi, un non saperci abitare, quella lontananza che non finisce mai, Gesù non la nega ma la abbraccia. Questa maniera di essere e di fare di Gesù, ci viene incontro nella sua parola e si rivolge a tut- to ciò che è in noi, anche a ciò che è contro tut- ti e tutto. Perché il soffio che porta e che abita la sua parola, lo Spirito di Dio e di Gesù, è prossimità che abbraccia ogni lontananza, ogni estraneità, e che sempre interpella la nostra di- sperazione.

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